Ore 5:03 am. Buongiorno Mondo.
25 marzo 2019
Buongiorno, Mondo
Ore 5:03 am. Buongiorno Mondo.
25 settembre 2018
Whatever
Mi avrebbe preso per matto o, anche peggio, per un vecchio maniaco.
Non sarei mai riuscito a spiegarle che vivo in un posto dove è normale che a volte la gente ti rivolga la parola e poi il momento dopo se ne vada, senza sentire l’urgenza di doverne aggiungere altre. Ho fatto apprezzamenti sui cappotti di ragazzi che dopo un istante hanno tentato di sorridermi mentre invece fuggivo dalla stessa metropolitana oppure al supermercato ho ascoltato gente mai vista prima suggerirmi d’acquistare la scatola di biscotti a fianco di quella che avevo scelto io. Lo so, adesso sono tornato dove queste eccentricità son quasi molestie. Ma avrei potuto almeno dire alla mia perfetta sconosciuta che anni prima, nella piazza lì a due passi, ero sceso dalla macchina sempre in piena notte per aiutare tre perfetti sconosciuti sulle strisce pedonali a mimare Abbey Road.
Mentre aspettavo che la luce del semaforo diventasse verde, nel buio ingiallito dai lampioni del centro avevo visto risaltare le sue scarpe bianche e le gambe incrociate a formare una specie di P sbilenca. Ma quello che davvero mi aveva attirato erano le enormi cuffie per la musica e il fatto che stesse smanettando sul suo telefono. E che tutto attorno a lei non ci fosse un’anima che fosse una, e non un suono. Magari lei stava scrivendo a qualcuno, oppure sfiorando delle fotografie oppure ancora cercando una canzone. Poco importava. Eravamo le uniche due presenze in strada nel vuoto della notte. Lei ferma in un angolo dove c’è un negozio che nemmeno a farlo apposta si chiama proprio “Punto Notte”, e non vende biancheria intima o daiquiri ma coperte e lenzuola.
Per me era lei che rendeva perfetto quel quadro di Torino, non il palazzo barocco illuminato al fondo di una delle rare vie che non si è piegata alla mappa ortagonale dei pratici militari romani.
Alla fine non sono sceso dalla macchina, e non solo perché il mio telefono era invece da ore privo di vita. Avrei rovinato non solo il suo momento, ma soprattutto il mio. Ho anche pensato che il mio, di momento, fosse proprio speciale. Stavo iniziando in quasi solitaria la mia traversata di ritorno nell’unico mare che ho sempre conosciuto.
Per rientrare a Santa Rita non c’era alcun motivo di deviare prima ad est lungo la via che celebra il più importante dei quattro fiumi cittadini, quello che noi torinesi (anche quelli espatriati da tempo) condividiamo forzatamente con quelli che si definiscono padani mentre noi ci siamo sempre sentiti isolatamente montanari o almeno collinari. Ma via Po, a meno di non essere solo maniaci della strada sempre più corta, è l’unico fiume legittimato a portarti davanti al faro di questo mare. E io, di fronte alla Mole spenta, ho pensato che potevo portarle il mio rispetto in un modo solo. Fermandomi in mezzo alla strada, e spegnendo i fari della macchina.
Credevo di ricordarmi tutte le rotte del mio mare, e mi son dovuto ricredere. Non tanto perché ho visto alberghi dove una volta poteva esserci solo l’ennesimo anonimo palazzo ottocentesco, Gramsci o non Gramsci. O perché nel mezzo di una piazza che non era mai stata tale, e che le madamine odiavano per il suo parcheggio sotterraneo sovrastato da colline squadrate artificiali, adesso c’è una birreria che distribuisce e riceve amore. Ma perché ho dimenticato che in centro le aree pedonali hanno ridisegnato dove puoi spingerti con la tua nave. Così, nella cappa della notte, e nella speranza di non trovare la guardia costiera con la fiamma sul cappello, ché poi mia madre una multa presa mentre navigavo con la sua macchina non l’avrebbe digerita, sono andato contro la corrente. Giusto solo per evitare quei tre isolati che mi avrebbero allontanato per qualche impaziente minuto dalla mia rotta verso sud. I carabinieri, alla fine, li ho incrociati poco dopo. E ho pure dato la precedenza per non perdere la mia patente nautica.
Forse non sarà come la città che non dorme mai, la mia Torino. E in un qualunque martedì notte che è già primissimo mercoledì mattina le macchine per le strade sono proprio un’eccezione anche per la città dell’auto. Ma dal tuo specchio retrovisore possono sbucare quattro ragazze in bicicletta, in fila orizzontale, a far la gara come Baronchelli e Aldo, Giovanni e Giacomo. Io ho accostato a sinistra e mi son fermato. Volevo sbirciare chi avrebbe vinto al photo finish prima che il mio semaforo fosse di nuovo diventato verde.
Non ci sono solo silenzio e rotte inconcludenti in questo mare notturno. C’è anche la voce registrata di Mixo, quella di una vita, e una “soft summer breeze” che “makes me think of my baby I left down in New Orleans”, anche se la mia non si chiama Magnolia e mi aspetta in una diversa New. A inizio serata, sulla stessa radio il cui nome non si capisce mai se prenda a pugni l’inglese o imiti una stazione di musica sudamericana, c’era stata un’orrenda copia dei Led Zeppelin proveniente dal Michigan e non avevo capito il nesso con la voce rassicurante di Luca de Gennaro. Boh, whatever. Ma whatever per davvero. Perché non ci riesco nemmeno più a capire come si faccia a nominare una meravigliosa trasmissione radiofonica con una parola che io sto imparando a usare solo per dire che non me frega niente o per mandare qualcuno a farsi fottere.
Poco importa. L’aria inizia a farsi fresca e la colonna sonora meno lineare di sempre mi porta verso quello che spero sia l’unico igloo di pietra al mondo con i neon cardinali.
Importa poco. Mi basta solo una scusa per rallentare la mia traversata.
03 aprile 2018
Viva la Globalizzazione, soprattutto se mi porta i savoiardi con il caffè alla fine del primo tempo
29 giugno 2016
IMPERIALE
L'Impero Ottomano, l'Impero Britannico e quello di Gianfranco Bianco
Per le nostre vacanze d'agosto in Italia avremmo anche potuto scegliere di fare scalo all'aeroporto di Istanbul. La Torino che dice di guardare al Mondo, quella della Fiat che si è letteralmente mangiata la Chrysler (anche se i torinesi e gli italiani tutti non lo capiranno mai), non ha un collegamento diretto con New York, e nemmeno con Detroit, se è per quello. Il governo americano da mesi sconsiglia ai suoi cittadini di andare in Turchia, troppo pericolosa, a rischio continuo d'attentati. Un Paese spezzato in due dall'ultraconservatore Erdogan e in cui la guerra civile pare non essere un orizzonte così improbabile. Un'amica italiana che vive ad Istanbul da 8 anni mi ha scritto poche ore fa che è tristissimo vedere da mesi le zone turistiche svuotarsi. Istanbul non è solo una delle città principali d'Europa, è anche uno degli scali più importanti al Mondo. Quindi poteva esserci chiunque di noi all'aeroporto Ataturk. Ed è tristissimo ora leggere le storie di alcune delle vittime dell'attentato terroristico di ieri, l'ennesimo di una lunga serie che da un anno ha colpito la Turchia.
Faremo invece tappa a Londra, e ci fermeremo lì per due giorni. Pochi per capire come nella Capitale inglese vivano il risultato del referendum sulla Brexit, ma sono curioso di vedere alcuni segni di questo periodo comunque cruciale per il Regno Unito. Quando arriveremo in Italia so già che verrò sommerso di domande. "E Trump? Vincerà le elezioni? Tutto il Mondo è Paese, eh?". Nessuno ha la bacchetta magica per fare previsioni. Nessuno si azzarda a farne, pena perdere faccia e magari pure la pagnotta. Ci sono valide ragioni politiche, demografiche e di meccanismi elettorali che rendono difficile una vittoria di Trump contro Hillary Clinton, sebbene nessuno dei due candidati alla Presidenza USA sia particolarmente amato. Per non entrare troppo nello specifico, mi limiterò a ripetere agli amici italiani che Europa e America son tanto diverse. Che americani e inglesi condividono la lingua e poco altro. Che in un Mondo dove tutti commerciano con tutti, dove tutti imparano a fare tutto, e dove la tecnologia fa aumentare la produzione e rende irrilevanti molti mestieri del passato, per alcuni c'è solo da perdere e per altri c'è solo da guadagnare. Se poi qualcuno vorrà sapere del presunto declino dell'Impero Americano gli dirò: sfortunatamente quaggiù non abbiamo un Impero e fortunatamente non abbiamo un declino. E spiegherò loro, per l'ennesima volta, che se c'è un centro nell'Universo quel posto è New York. Per essere ancora più specifici, è Brooklyn. Anche se son tempi grami per fare la maionese artigianale, con 'sti affitti che vanno sempre più alle stelle.
A Torino c'era un uomo che, almeno due decenni fa, aveva un'idea molto chiara di "Impero".
Era l'estate del 1989. Tempo d'esami di maturità. Dopo un anno, con alcuni amici, ero tornato davanti al mio ex liceo. Non eravamo gli unici. C'erano anche un paio di giornalisti, in attesa dell'uscita dei primi maturandi. Posto perfetto per raccontare una storia, perché nello stesso isolato convivevano uno dei licei più importanti della città, lo scientifico Galileo Ferraris, e uno degli istituti tecnici più importanti sempre a livello locale, il Sommeiller. Uno dei due giornalisti era Gianfranco Bianco, per la RAI di Torino, l'altra una ragazza che lavorava da poco per la cronaca cittadina di Repubblica. Era carina. Volevo parlarle, fare colpo. Per questo, dopo aver trascorso un bel po' di tempo a parlare con Bianco, gli avevo chiesto in prestito il suo microfono e, con tutta la faccia tosta dell'epoca, mi ero presentato alla giornalista, fingendo di volerla intervistare. Chiunque abbia mai visto un telegiornale della regione Piemonte sa che sullo schermo Gianfranco Bianco era un professionista impeccabile, serio. Ebbene, quello stesso giornalista scherzava con noi e mi aveva ceduto il suo microfono come niente fosse.
Di studenti in uscita non c'era ancora traccia. Gianfranco Bianco ci raccontava storie del suo lavoro e noi gli facevamo domande. Volevamo sapere chi fossero le giornaliste più belle in RAI. Volevo sapere di Carmen Lasorella. Lui, senza scomporsi, serio: "Carmen Lasorella? Una figa imperiale".
Gianfranco Bianco, che la terra ti sia lieve.
15 febbraio 2016
Vi presento la mia "Guida Inutile NEW YORK" [ NYC #59 ]
Venite a spasso nella mia (nuova) città
FREEZER esiste dall'agosto del 2006. Un semplice diario. Un blog anomalo, perché non faccio vita nella blogosfera. E in questo modo il mio FREEZER continuerà la sua esistenza.
Però, dopo tre anni di vita trascorsi qui a New York con la Ragazza Dai Capelli Rossi e il nostro Piccoletto, ho deciso di aprire anche un altro progetto.
In questi tre anni tanti amici sono passati in città. E con il tempo tutti mi hanno ripetuto la stessa domanda: "perché non scrivi una guida?". Tra questi, anche l'amico e fotografo Sandro Pisani. Arrivato a Brooklyn nel giugno dello scorso anno, mi ha chiesto di accompagnarlo in giro per il suo lavoro. Quando gli ho spiegato che avrei preferito scrivere un nuovo blog, lui mi ha regalato la sua idea: "un blog su tutto quello che conosci di New York, una 'guida inutile' della città".
Dopo mesi di pensieri, quel blog è nato. Il suo nome è "Guida Inutile NEW YORK", www.guidainutile.nyc è il suo indirizzo.
Ho aperto anche una pagina su Facebook: www.facebook.com/guidainutilenyc
E un profilo su Twitter: @guidainutilenyc
E non volevo farmi mancare Instagram: guidainutilenyc
Come si dice dalle mie nuove parti: Welcome to New York!
12 febbraio 2016
FREEZER
25 gennaio 2016
Liber [ NYC #58 ]
Vivi e lascia vivere
Il meteo italiano non fa notizia a New York. Le unioni civili, si |
Alzo la testa e guardo oltre la vetrata. Fisso il traffico che scorre sulla 23esima, sta per iniziare l'ora di punta. Io devo tornare a Brooklyn e oggi tocca a me andare all'asilo a prendere il piccoletto. Inizio anche ad avere caldo. A quanto pare una delle impiegate ha più caldo di me, perché sta già in canottiera allo sportello del prestito libri. Attorno ci sono persone che sono sedute da tempo e non si sono nemmeno levate la giacca per il freddo. Un signore non ha abbandonato nemmeno il suo colbacco.
Intanto il mio vicino di banco se n'è andato. Afferro il giornale, che ha lasciato sul tavolo. Sulla prima pagina del New York Times si parla di Italia e delle divisioni sulle unioni civili. M'è passata la voglia di leggere. Vado a prendere la metropolitana.
24 gennaio 2016
Anno nuovo, e solo quello [ NYC #57 ]
Hai voglia a dire che non s'invecchia
YMCA Park Slope, Brooklyn |
"Can I borrow you?". Si, sta proprio rivolgendosi a me. A parte lui, sono l'unico maschio adulto presente. Per il resto, solo mamme, amiche delle mamme e babysitter. Me ne sto tranquillo a bordo di uno dei tre campi da basket ospitati sotto la grande volta della YMCA di Park Slope. Quello che un tempo era un arsenale, adesso è una delle più grandi palestre di tutta Brooklyn. Questo giovedì l'allenatore deve fare a meno del suo assistente. 12 bambini, tra cui anche il Piccoletto di casa Spedalieri, sono pronti a giocare a football. Ognuno stringe la propria palla come fosse oro. Io adesso sono esattamente al centro del campo e loro mi puntano: sarò l'ultimo ostacolo prima del touchdown. Sono un adulto rispettabile, loro sono solo dei bambini che smaniano per giocare e tra questi c'è pure mio figlio. Primo pensiero? Col cacchio che li faccio segnare.
02 gennaio 2016
Come in un film [ NYC #56 ]
Grandma is coming to town
"Parlate inglese?", ci chiede la signora che continua a passeggiare mentre si accosta a noi. La mia risposta, ancor più delle parole che lei stava prima origliando, lascia zero dubbi sul mio passaporto: "ii-ee-ss", rispondo sorridendo. A quel punto, mentre tutti noi proseguiamo a camminare senza nemmeno per un istante modificare il ritmo dei nostri rispettivi passi, la signora ci spiega il perché della domanda: "Mi piace molto ascoltare l'italiano, sembra d'ascoltare un film". Ringrazio, le dico che lei è davvero gentile e poi, scherzando, aggiungo: "Chi lo sa? Magari siamo proprio noi un film...". Si mette a ridere. E, mentre si allontana: "un bellissimo film. Pasolini!".
Botanical Garden, The Bronx |
21 novembre 2015
Catrame [ NYC #55 ]
A New York come a Parigi
"Me siento muy contento, me siento muy feliz", cantano in coro i quattro musicisti. Potrebbero essere messicani, ma a parte il pregiudizio non ho altri motivi per pensarlo. Scendono a DeKalb Avenue, l'ultima fermata di Brooklyn prima di arrivare a Manhattan. La metropolitana riparte. Ho trovato posto a sedere al fondo della carrozza e sento che potrei addormentarmi da un momento all'altro, anche se è solo metà pomeriggio. Si apre la porta che dà sulla passerella che connette i vagoni. Quella porta che, secondo i moniti terrorizzanti scritti per i genitori sul retro delle metrocard, non si dovrebbe mai aprire per non rischiare di finire sui binari. In mancanza di bagni pubblici nelle stazioni, quella passerella è non di rado usata come orinatoio.
Guggenheim Museum |