Storie che si ripetono
Graziani, Pulici e Claudio Sala, sotto lo sguardo bonario di nonno Pianelli nel giorno dell'ultimo scudetto del Toro. Immobili per sempre. Passo davanti a quella foto mentre porto a tracolla un attrezzo pesantissimo, e col motore a scoppio, che è stato inventato per tagliare l'erba negli angoli più impervi dei giardini. So già che dovrò pregare per metterlo in moto.
Nonostante la plastica, che in teoria avrebbe dovuto proteggerla, la foto è ingiallita dal tempo e dalla polvere respirata per anni insieme a mio padre, nello stesso magazzino dove lui faceva i materassi. Era ben singolare la compagnia in quel piccolo laboratorio da artigiano: c'era pure John Fitzgerald Kennedy, che faceva capolino da una cornice in legno e vetro, privilegio riconosciutogli per risparmiargli almeno l'aggressione diretta alla stampa, se non quella, inevitabile, dell'offuscamento da polvere. Osservavo quella foto praticamente ogni giorno, e JFK guardava me, sia che stessi correndo per il cortile come Zaccarelli dietro al pallone, sia che avessi ricevuto il raro permesso di cardare la lana, prestando la massima attenzione a non lasciarci le dita delle mani. Quella foto di JFK era la Storia che veniva a farmi visita a casa, entrando dalla porta principale, come le immagini della guerra del Vietnam in televisione. Le uniche figurine che abbia mai raccolto in un album, da bambino, erano quelle della storia dell'umanità: dal pitecantropo ai caschi blu dell'Onu, passando per gli Assiri, Marx e il Dottor Sabin. Ovviamente non poteva mancare Mao Tse Tung, già comparso nei miei ricordi su queste pagine. Si, proprio il Grande Timoniere che, nel giorno della sua morte comunicata interrompendo le trasmissioni radiofoniche mattutine, riuscì a distogliermi dalla mia scavatrice arancione per farmi correre in magazzino da mio padre a dargli la notizia, manco fossi Ruggero Orlando. Settembre 1976, giusto pochi mesi dopo l'ultimo scudetto vinto dal Toro.
Da quando mio padre non c'è più, abbiamo appeso la foto degli eroi granata a Gravere, in quel regno che lui ha amato e curato fino all'ultimo istante di vita.
Eravamo a Gravere la domenica in cui l'urlo di Tardelli ai Mondiali passò per sempre alla storia. Ed eravamo sempre a Gravere la domenica in cui il Toro, sotto di due reti a 10 minuti dalla fine del derby, riuscì a segnare tre gol alla Juve. Tuttosport, il giorno dopo, titolava a caratteri cubitali: Dal Toro con furore.
Questa domenica di maggio sembra arrivata dopo secoli.
Se ci fosse ancora mio padre, forse oggi inorridirebbe. Non solo per l'ennesima retrocessione del nostro Toro, che degli ultimi 20 anni ne ha passati 8 in B. Ma anche per quanto sono maldestro a tagliare l'erba vicino alle sue rose.
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