La amo. Si, la amo. Forse la sposo. Ma si, me la sposo. Poi, come un pesce rosso, o come un ragazzino di 15 anni, incontri un'altra e la memoria va a farsi benedire. E dici: la amo. Si, amo lei.
Lasciata Seattle da meno di due giorni, e San Francisco ci ha già fulminati.
Sembriamo i nuovi "49ers", come erano chiamati i cercatori d'oro che arrivarono nel nord della California attorno al 1849. Si, lo stesso nome della locale squadra di football americano.
San Francisco ci prova a fare Seattle, e pare che riesca pure meglio dell'originale: il sole non s'è ancora visto neanche di striscio, almeno nei confini dell'omonima contea, ché nella vicinissima Marin County oggi sembrava d'essere su un altro pianeta, mentre il Golden Gate era quasi buio per la pioggia battente.
Uno dei portieri del nostro albergo, un messicano con baffi spioventi, cadenza effeminata e sorriso generoso, non ha dubbi: San Francisco è bella, certo, ma Seattle è meglio. Si, è stato anche in Italia, a Venezia. Ma alloggiava a Padova, e forse questo spiega delle cose. Simpatico, casinista senza esserne cosciente, inaffidabile. Prima ci ha dato la camera 402, dopo mezz'ora si è accorto che la nostra era la 202. Nonostante avessimo prenotato per tre, segnalando la presenza di un bebè, ci ha detto che la camera non prevedeva un lettino per il piccolo e che avremmo potuto trovarne uno economico a Japantown. Gliele perdoniamo tutte. Forse per l'atmosfera incantata di questo albergo in stile vittoriano, che porta lo stesso nome del quartiere dove si trovava l'albergo di Seattle, e cioè Queen Anne. Si, credo che i caminetti accesi, l'albero addobbato, e il sottofondo di canzoni natalizie ci rendano più indulgenti. E anche il caffè a libero servizio e la merenda con i biscotti al cioccolato hanno il loro peso. Alla fine, nella 202 abbiamo trovato un lettino. E va bene se è bianco e con le sbarre tristi come quelle di un orfanotrofio.
Bianca è pure la Jeep che ci è toccata all'aeroporto, con le sue belle quattro ruote motrici e l'ovvio cambio automatico. Al quale mi sono ormai abituato, in questo primo mese della nostra trasferta americana, e del quale inizio ad apprezzare le virtù nascoste solo a noi italiani che consideriamo l'auto un'estensione fallica (ma consoliamoci, non siamo gli unici, qui hanno l'Hummer). Provaci a usare un'auto col cambio manuale sulle salite di San Francisco. Sono convinto che solo la pista di Kitzbühel sia più ripida del punto in cui Vallejo Street incontra Montgomery Street. E su queste strade capisci quanto siano importanti le funicolari che tanto attirano i turisti.
Ma noi non siamo qui per turismo, quindi puntiamo la macchina verso Sausalito e la Marin County e poi verso Berkeley, per capire quali siano le zone migliori per una famiglia, anche se non particolarmente abbordabili. Oltre alla famosa università, Berkeley ospita "Chez Panisse", ristorante di Alice Waters, la meta nemmeno tanto secondaria della nostra gita giornaliera.
Al rientro a San Francisco, ci attende al Caffè Greco uno degli italiani più attivi della città ed esponente di spicco della locale Slow Food. "Questa è una mini New York, ma la vita è migliore e il cibo è più buono".
E cosa ci aveva detto la texana Carla prima di lasciare Seattle? "Questa è una mini New York, ma la vita è migliore e il cibo è più buono".
Seatte vs San Francisco, il derby della West Coast.
Aspetto il risultato di Juve-Toro.
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