Avevo controllato il sito della metropolitana e sapevo che, soprattutto la domenica, i lavori sulla linea da Bay Ridge avrebbero rallentato il nostro viaggio. Ma non avevo visto che la D da Coney Island nemmeno ci arrivava a Manhattan. Così ci presentiamo all'appuntamento a Central Park con la nostra canonica mezz'ora di ritardo, quella che sembra proprio noi non riusciamo a cancellare. Ma la nostra nuova amica, da lontano, ci saluta lo stesso sorridendo mentre ci viene incontro. Il marito, invece, ci aspetta sul prato, dove sta giocando con le loro due bambine.
La bimba che ha da poco due anni è perfetta per il nostro piccoletto, sento già che lo metterà in riga.
La bimba che ha da poco due anni è perfetta per il nostro piccoletto, sento già che lo metterà in riga.
A New York da dieci anni, lui è thailandese mentre la moglie è americana. Sono l'ultimo inaspettato regalo che ci ha fatto Helen prima di andarsene. Era stata lei a metterci in contatto con loro. Ad agosto, quando siamo andati a trovarla a Stockton, era molto affaticata, ma riusciva ancora a stare un po' in piscina con i suoi piccoli gemelli, mentre Everett correva avanti e indietro per cucinare e prendersi cura di tutti noi. Poi, qualche giorno dopo il nostro rientro a casa, quella telefonata che non mi aspettavo. Helen si era addormentata per sempre.
I nostri nuovi amici prima vivevano a Chicago, poi si sono trasferiti a New York, trovando casa nel Queens. Con la nascita delle bambine hanno maturato l'idea di cambiare quartiere. Con tanta pazienza sono riusciti a vincere la lotteria per una casa a prezzi ragionevoli ad Harlem. Lei insegna alle superiori, lui si occupa delle bambine a tempo pieno e segue la sua nuova attività artistica. Lui, da principio, era perplesso, perché la presenza di asiatici ad Harlem è scarsa. Ma con il tempo ha iniziato ad amare il loro nuovo quartiere. "Ci vuole tempo, Denis. Dovete darvi tempo per trovare la dimensione che va bene per voi. Adesso io non so come potrei fare a meno di Central Park".
Il tempo. Io ci faccio la lotta da sempre. Mi sembra sempre di sprecarlo inutilmente, non riesco mai a capire quelli che credono di averne davanti a se come se non dovesse mai finire. Io ho l'idea fissa che la mia riserva potrebbe esaurirsi da un momento all'altro, e per questo provo sempre a correre, a bruciare le tappe. Ci sta pensando il piccoletto a raddrizzare questa idea storta. Lui si prende tutto il tempo possibile e i suoi piccoli cambiamenti richiedono giornate intere.
Ci vuole tempo, anche solo per abituarsi ad un paesaggio completamente diverso. Per quarant'anni ho visto le montagne, le colline, i tetti rossi, i palazzi barocchi e "i treni in mezzo alla strada", come mi disse una volta un ragazzo di Savona che amava Torino e i suoi tram. Per anni ho riso per comici che parlavano in romanesco, ho ascoltato canzoni in napoletano e pure in milanese. Si, c'è voluto del tempo prima che arrivassero i Subsonica. Per anni ho ascoltato musica che arrivava dall'Inghilterra e c'ho capito poco e niente. Non l'avrei mai pensato, ma per anni ho sentito politici, quelli che a me sembravano più vicini, parlare solo di Berlusconi e mai una cazzo di volta delle loro idee per governare.
Adesso ascolto politici che si parlano senza interrompersi. Ascolto il probabile futuro sindaco di New York, che non è proprio un ex comunista, dire cose che D'Alema se le sogna. Anzi, no, non le sogna nemmeno.
Adesso penso più ai bagel che al pane, faccio meno caso ai topi in metropolitana, mentre la mia cantilena preferita è "stand clear of the closing doors". Quando fa caldo, e il sole picchia, benedico chi ha tirato su i grattacieli perché noi si possa avere ombra anche senza i portici. A volte ho l'impressione d'essere stato qui in un'altra vita, ma questa è solo colpa di Woody Allen. Ora capisco perché anche lui parlava della puzza dei rifiuti.
Adesso vedo tante Porta Palazzo, dappertutto. Già sapevo che avrei visto anche Napoli. Rido per un comico bianco che manda i texani a farsi fottere, invitandoli a stare alla larga da New York, e per un comico nero che sfotte i bianchi per come ballano (c'ha ragione, inguardabili siamo). Adesso mi sforzo di capire l'hip-hop, anche se potrei farne tranquillamente a meno. Ma quanta roba c'era nelle canzoni che ho ascoltato per anni? Si, inizia a piacermi anche il burro d'arachidi e mi sembra normale se un tizio scende lungo la Quinta Avenue con il suo skateboard o se una donna yemenita parla al telefono tenendo il cellulare attaccato all'orecchio senza mani e usando semplicemente il chador.
Adesso posso anche vedere il mare e sullo sfondo Manhattan senza le Torri Gemelle. Posso vedere i ragazzi cinesi che ci pescano dentro, come si fa ad Istanbul. Non voglio sapere dove finisca quel pesce, mi chiedo invece se ora il tizio davanti a me riuscirà a centrami un occhio mentre lancia l'esca. Mi sa che la lenza sono io che sto ancora seduto qui ad aspettare.
Ci vuole tempo, anche solo perché la testa ti dica che tutto questo ora è familiare. Non puoi davvero sentirti uno straniero a New York, ma la tua testa ha comunque bisogno di registrare suoni, catalogare odori, ha bisogno di creare connessioni, memorie. Hai ragione, mio nuovo amico. Si, ci vuole tempo.
"But I'm still here".
Voglio andare a casa, adesso. Mi aspettano la ragazza dai capelli rossi e il piccoletto. Stasera ci vuole il vino.
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