Ci guardiamo di sfuggita, scambiandoci quella tipica smorfia appena accennata, quasi impercettibile, che i maschi di tutto il Mondo, a qualunque latitudine, si scambiano quando si incrociano davanti alla porta di un cesso occupato: una sorta di mezzo sorriso che assomiglia più ad una emiparesi facciale. Lui ha gli occhiali da sole, anche se sono le cinque del pomeriggio, fuori è già buio e ci troviamo nel retro del locale. Ha il fisico massiccio e ha un berretto nero in testa. Fisso il muro, aspettando che il bagno si liberi e arrivi il mio turno. Arriva invece una barista, lo saluta, gli chiede come sta, digita un codice sulla pulsantiera della porta a fianco a quella del bagno e sparisce per qualche secondo. Riemerge con un telefonino rosa shocking. Il cesso è ancora occupato. Arriva pure il manager del locale, saluta anche lui calorosamente il mio vicino, ci scambia qualche battuta e poi scatta una foto alla barista sorridente insieme all'uomo con gli occhiali da sole. Non provo invidia per lui solo perché qualche minuto prima Jarvis e Andrea avevano fatto le feste anche a noi. Il piccoletto attira l'attenzione, ovunque noi si vada: come minino gli chiedono come si chiama e poi provano anche a strappargli un high-five. Jarvis gli ha chiesto solo il nome e in cambio gli ha regalato un gran sorriso. Poi ci ha presentato pure Andrea, la barista che stava facendo pausa bevendo un caffè al tavolo di fronte al nostro. Jarvis è il manager di questo Starbucks sulla Terza Avenue, nel quartiere di Kips Bay a Manhattan.
Finalmente, arriva il momento che stavo aspettando e mi prendo un paio di minuti di puro sollievo. Quando esco dal bagno, io e il tizio con gli occhiali da sole ci scambiano un'altra delle nostre smorfie. La ragazza dai capelli rossi e il piccoletto mi stanno aspettando. Usciamo e, come da tradizione quando è visibile lungo la nostra strada, indico l'Empire State Building al nostro piccoletto, perché poi più tardi possa riconoscerlo su uno dei suoi libri preferiti per la buonanotte. Questa sera la parte alta del grattacielo è illuminata di verde, bianco e rosso, perché New York è pronta per Natale.
"Hei", dico a mia moglie, "credo che davanti alla porta del bagno ci fosse un tizio famoso. La barista si è fatta pure fotografare con lui". Nello stesso istante, dallo Starbucks esce l'uomo con gli occhiali da sole, passando al nostro fianco mentre stiamo sistemando il piccoletto sul suo passeggino. Un uomo vestito di nero, davanti alla portiera aperta di un suv nero parcheggiato davanti al locale gli fa cenno di accomodarsi. Lui lo ringrazia allargando un braccio e sale sulla macchina. Mia moglie mi guarda e dice: "Quello è LL Cool J". Non sono molto bravo a riconoscere cantanti e gente famosa, ma la sua voce me la ricordo bene. Afferro il mio cellulare e cerco una foto su Google. Santi numi... Quegli occhiali, quel cappello...
N.B. un vero newyorchese, se incontra una celebrità, fa finta di non vederla e continua sulla sua strada come niente fosse.
"My radio, believe me, I like it loud
I'm the man with a box that can rock the crowd
Walkin' down the street, to the hardcore beat
While my JVC vibrates the concrete
I'm sorry if you can't understand
But I need a radio inside my hand
Don't mean to offend other citizens
But I kick my volume way past 10"
(Questo post è dedicato a Papa Ciccio e Toto B. E al nostro vecchio amore per l'hip-hop).
Nessun commento:
Posta un commento