13 dicembre 2014

Senza Titolo [ NYC #41 ]

Musica e una notte insonne

Ma sono poi davvero così precoci i figli delle nuove generazioni? O siamo noi quaranta-cinquantenni che abbiamo rinviato a data da destinarsi il momento dell'età adulta? Poi: che  mai dovrebbe significare "età adulta"? Vabbè, la faccio breve. Io ho dovuto attendere i miei dieci anni per scoprire il reggae. E sempre a dieci anni correvo a comprare le mie cassette di musica jazz.  Adesso, quando a fine giornata provo ad avvicinarmi allo stereo, è il Piccoletto che detta legge e scaletta: "Dada, Bob Marley". Devo ricordarmi di chiedere a mia madre che cosa chiedevo io a due anni e mezzo. Lui, beato lui, sente davvero il ritmo e ha un gran senso per la musica. Ascolta concentrandosi e ripete l'ultima parola di ogni strofa che sente cantare. "Trumpet", chiede a me, che fatico a distinguere un violino da un pianoforte. Lui, beato lui, ascolta di tutto. Passiamo con disinvoltura da "Bella Ciao" a Miles Davis.

03 dicembre 2014

Il regalo [ NYC #40 ]

Alla fine di un trasloco

"Dada, this one! This one!". Il piccoletto mi aspetta davanti alla porta della nostra nuova casa e mi porge il suo piccolo tunnel di plastica. Vuole che giochiamo con il trenino della metropolitana. Non mi sembra disperato quando gli dico semplicemente che non posso. Sono così stanco che non riesco a inventarmi una scusa e nemmeno provo a dirgli che giocheremo più tardi. Cerco solo di non schiantarmi sul pavimento insieme allo scatolone di turno. Quando domenica sera la Ragazza Dai Capelli Rossi mi ha chiesto: "allora, qual è il piano per domani?"; ho risposto senza esitare, secco: "improvvisazione". Non stavo facendo il bullo. Al quinto trasloco in quattro anni, e avendo smesso di tenere il conto di quelli fatti a partire dal 2000, ho imparato una sola regola. Si, programmare è utile, chi lo nega. Ma fare, senza pensarci due volte, quella è la chiave. Non importa quanti scatoloni riempirai o in quanto tempo. Devi partire, così come viene. Devi riempire. Caricare il furgone e andare. Fino all'ultimo minuto utile. Che, nel nostro caso, è l'ora in cui devo riportare il furgone al parcheggio del car sharing. 

04 novembre 2014

L'ULTIMA DOMANDA

L'incomunicabilità uccide l'amore. Anche quello, cieco, per il proprio operatore telefonico.

Cara, vecchia, compagna telefonica italiana. Non semplice compagnia. No, proprio compagna. Quanto tempo abbiamo passato insieme... Quando avevo bisogno di te, il tuo cazzo di segnale era davvero una merda. Ma quando tu avevi bisogno di me, la mia carta di credito c'era sempre. Tu, poi, eri sempre così premurosa, con le tue offerte che non dovevano nemmeno essere delle truffe per abbindolare gli allocchi pigri come me. Ma a me piacevi così, eri rassicurante. Mi facevi credere d'essere un mezzo Dio, con tutte quelle telefonate illimitate... Ma chi cazzo avrei mai dovuto chiamare con tutti quei minuti? Ma che vita di merda sarebbe stata, sempre al telefono? Si, vabbé, il lavoro era diventato più facile, non guardavo più l'orologio; ma tu, forse, non avevi ancora sentito parlare di questa invenzione rivoluzionaria, la posta elettronica. Insomma, mi hai ciulato e a me andava bene così. Poi sono partito e tu sei rimasta lì, in Italia. Ho deciso di lasciare il mio vecchio telefono (quello che mi avevi convinto a comprare a rate, io che non ne faccio mai) alla mia mamma, così lei poteva vedere il nipote via Skype. Ovviamente, come ho già detto prima, il tuo segnale faceva così cagare che tra te e quelle altre bestie che si sono comprate Skype, mia madre vedeva suo nipote a tratti. Mi ero fatto un mazzo tanto per convincerla che l'America non era lontana e tu, con quel servizio dati di merda, le avevi fatto credere che era più lontana di Marte.

Eppure... Io continuavo ad esserti fedele e a pagarti lo stesso gli alimenti per quel servizio terzomondiale. Avrei potuto inchiappettarti, se solo fossi stato uno di quei tanti bastardi, e tu, i miei soldi, col cazzo che li avresti visti. Sono passati giusto due anni dalla mia partenza e dopo la separazione è arrivato il momento del divorzio. Ti ho avvertita per tempo e ti ho detto: chiudiamo questo rapporto il primo giorno possibile, perché io non solo non sto usando più davvero quel telefono ma sta scadendo pure la carta di credito italiana e io manco quella rinnovo più. Tu, allora, forse spaventata, mi hai detto che potevo pagare la bolletta anche con un bonifico. Potevo io tradirti? Non lo avrei mai fatto. Sono un romantico del cazzo, sono uno di quei babbioni che credono alle regole. Non dico che qualche volta non provo a fottere pure io, ma poi provo a controbilanciare le sorti dell'Universomondo. Magari quel viaggio gratis in metropolitana aggrava il buco del bilancio ma almeno ora quel barbone si beve un caffè caldo alla mia salute e la mia coscienza si sente pure figa.
Ti ho fatto il bonifico e ti ho mandato una lettera, cara vecchia compagna telefonica. Ti ho scritto parole belle, mia adorata. Ti ho spiegato che erano stati anni fantastici e che ora, non avendo più alcun obbligo legale a stare insieme, dovevamo riprendere le nostre strade. Ti ho chiesto per l'ennesima volta di chiudere al primo giorno utile e ti ho mandato anche la raccomandata, perché il tuo servizio clienti me l'aveva chiesta, lui che è rimasto fermo agli anni di Marconi (anche se io, che sono un bravo ragazzo, pure un po' paraculo, non te l'ho mai detto e ti ho adulata pure per quel servizio penoso). Tu che hai fatto? Mi hai risposto che nella raccomandata avevo dimenticato la firma... Hai ragione, ho sbagliato. Ma tu lo sai, vero, che anche di fronte ad errori formali come questi la legge ti consente d'andare avanti lo stesso? Sai che potevi protocollarla lo stesso e che c'erano una dozzina di mail a supportarla? Già, come fai a saperlo, tu che vuoi solo fottere... Tu, con un cavillo, ci godi. Per qualche giorno sono andato a controllare sul tuo sito la situazione delle mie bollette. Poi, un bel giorno, la mia mamma mi ha detto che, finalmente, avevi deciso di disattivare il servizio. Hurrà!!!
Così stasera, da bravo ragazzo, sono tornato sul tuo sito a cercare l'ultima bolletta da pagare. E cosa scopro? Che, con il numero disattivato, non posso più accedere al mio profilo. Adesso, tu, spiegami una cosa: come la pago io la bolletta? Dove me la spedisci? Ad un indirizzo italiano vecchio di dieci anni? Oppure mi cerchi qui a New York? Vuoi qualche indizio per trovarmi e mandarmi una cartolina? Ma perché sei così? Perché di fronte alla mia ingenuità, tu hai voluto strafare?
Ti faccio solo un'ultima domanda. Lo sai cosa ci puoi fare, ora, con quella bolletta?

P.s. Oh, mamma, se mai un giorno ti dovesse capitare di leggere queste righe, non t'incazzare per le parolacce. Sai che, quando voglio, con i congiuntivi non mi fotte davvero nessuno.

24 ottobre 2014

=ƎE= [ NYC #39 ]


Il calore di una cucina speciale ad Harlem

A New York il "kale" è onnipresente, un po' come la gramigna o il prezzemolo. A Brooklyn — megafono universale di tutto ciò che è biologico, artigianale e mecca del "Farm To Table" — non c'è ristorante alla moda o bistrò o finanche caffè che non abbia nel suo menù una generosa insalata o almeno un contorno a base di cavolo riccio. Quando il caffè è tostato direttamente dove lo consumerai e il cavolo riccio si confonde in mezzo alle specialità della casa, puoi stare certo che in quel quartiere la gentrificazione non la fermi più. Questo fenomeno maledetto o benedetto a seconda dei punti di vista — e per il quale con l'arrivo di famiglie ricche in un quartiere storicamente povero si innesca una spirale che, trascinata dall'apertura di locali di tendenza, attira sempre più famiglie ricche nel quartiere e rende proibitivi i costi per i vecchi residenti — ha toccato da tempo anche Harlem. Il quartiere non ha pianto per la partenza della Fondazione dell'ex presidente Clinton, che qui sulla 125esima qualche anno fa aveva aperto uno specchietto per le allodole sotto forma di ufficio. Ma ogni mese piange la chiusura di una vecchia "bodega" che non riesce più a rinnovare il suo contratto d'affitto. Nonostante sia ancora possibile sedersi da "Sylvia", leggendario ristorante soul food su Malcom X boulevard e ordinare un contorno di tradizionali "green collard", un cavolo dal gusto forte, ad Harlem la gentrificazione procede spedita, con tanto di cavolo riccio per noi borghesi bianchi. Mai, però, mi sarei aspettato di trovarlo anche nella mensa popolare del quartiere. Signore e signori, benvenuti nella cucina della Food Bank di New York City.

08 ottobre 2014

Ai lobu, Dada [ NYC #38 ]

 Dice che sono i "terrible two", quell'età in cui i bambini sono imprevedibili e quando tutto sembra andare per il verso giusto, all'improvviso, tutto cambia. Se ieri mangiava, oggi non mangia e domani, magari, si sbranerà anche il tuo braccio. Ieri si faceva un pennichella pomeridiana di tre ore, oggi dorme dieci minuti sul passeggino e domani, forse, chiederà alla mamma di leggergli sei libri per addormentarsi, prima che quei sei libri non lo colpiscano alla nuca per stordirlo. Tranquilli, siamo genitori pacifici. Se proprio c'è qualcuno che comanda, in casa, non siamo noi. "Terrible two? Goditi questo periodo, non sai quello che arriva dopo, con la scuola e tutto il resto". Mi faccio gli affari miei, non lo voglio sapere.

29 agosto 2014

No Sleep Till Brooklyn [ NYC #37 ]

"Certo, però, che un piccolo diario di questi giorni avresti potuto scriverlo". Non scherza. Lo so che Fratello di Vespa non sta affatto scherzando. Guardo in basso dalla vetrata che affaccia dritta su Union Square. Se ci fosse qui anche il mio piccoletto gli direi di alzare lo sguardo e guardare lassù, la punta dell'Empire State Building. Stasera è illuminata di bianco e lui, qualche volta, sbaglia nome e la chiama Mole. No, piccoletto mio, non è la Mole Antonelliana, quella sta dove sei nato. E, per fortuna tua, adesso sarai a casa a dormire. Almeno tu... Noi, invece, siamo ancora in giro ad un'ora in cui i ragazzini dovrebbero essere a dormire e i grandi, a loro discrezione, potrebbero sprofondare nel letto o addormentarsi sul divano davanti alla tv o aspettare che dalla doccia si materializzi una ragione che sussurri un argomento convincente per rianimarsi. I due figlioli di Fratello di Vespa non sembrano aver gradito particolarmente la cena. Il più grande, da buon figlio di un napoletano di nascita, proprio non riesce a trovare uno stimolo che sia uno per mangiare la pizza che ha davanti al naso. Da giorni va ripetendo che New York non è proprio nota per la pizza. Che dovrei dirgli, io? Che alcuni milioni di newyorchesi, almeno quelli doc da generazioni e non i trapiantati dall'Ohio, considerano la pizza una cosa loro, che ha trovato quaggiù la sua massima espressione anche se a Napoli si sono inventati la Margherita? E che questo capita perché questa città è da più di cent'anni un tritacarne d'immigrati planetari, italiani compresi? Fugghedaboutit. Con i suoi dieci anni non potrebbe che mandarmi a cagare, anche se il suo babbo fa di tutto perché lui non impari a dire le parolacce. Il fratello più piccolo, che adesso di anni ne ha sette, non l'ha mangiata con migliore entusiasmo. Ma la fame e il piacere di contraddire il fratello maggiore hanno vinto le argomentazioni sulla qualità del formaggio.

09 agosto 2014

Direzione Washington D.C. [ NYC #36 ]

Ho provato a fare meno rumore possibile e a darle un bacio quando ancora era a letto. Ma la Ragazza Dai Capelli Rossi ha voluto comunque salutarmi sulla porta di casa prima che partissi.
Alle 6 del mattino davanti alla stazione della metropolitana c'è già una montagna di carta, bottiglie di plastica e rifiuti vari. Non perché la Chinatown di Brooklyn sia già iperattiva alle 6 del sabato mattina. No, semplicemente perché nessuno è passato a raccogliere la spazzatura ed assai difficile che lo farà durante il resto della giornata. Se pensi di vedere questa scena solo quando sei lontano dalla New York immaginaria che ogni film o video musicale ti propina, sei fuori strada. Attorno a Herald Square, quaranta minuti più tardi, il panorama igienico non è poi così diverso. Solo che il turista punta beato sempre il naso all'insù, anche a quest'ora, perché a ragione vuole godersi tutte le punte dei grattacieli. Se abbassasse un po' la testa potrebbe contare gli scarafaggi sui marciapiedi prima che la folla li nasconda. Get outta the way.
Il turista a New York può essere mattiniero, perché non vuole perdere un solo minuto della sua esperienza in città. Oppure può essere semplicemente un turista europeo appena arrivato, il cui jet-lag lo costringe a mettersi in marcia già all'alba perché il suo fisico pensa che qui sia mezzogiorno. Io faccio parte della terza categoria. Oggi sono costretto ad essere mattiniero e non soffro alcun fuso orario. Ho solo un autobus che parte alle 7.30 da Midtown e non posso perderlo. Prima che Antonio si trasferisca per sempre da Torino a Berlino (perché io scommetto che sarà così), vado a trovarlo a Washington D.C., dove sta per finire il suo lavoro di tre mesi alla biblioteca shakespeariana. La levata antelucana oggi non mi pesa.

05 agosto 2014

Spada Il Pesce [ NYC #35 ]

Sfido chiunque altro a fare delle bolle gigantesche di sapone come quelle che fa la mia Ragazza Dai Capelli Rossi. "Noooo!!! Guarda che roba!!". Strabuzzo gli occhi e non riesco a trattenere il mio stupore! Nemmeno ora che scrivo e ci ripenso! Anche il Piccoletto esprime la sua meraviglia quando vede le bolle che mamma riesce a fare. Ma lui con quelle urla acute di gioia che avranno sicuramente svegliato il figlio dei vicini, di un anno più grande, mentre noi abbiamo preso questa insana piega estiva per cui prima delle dieci non se ne parla di metterlo a letto, anche perché prima siamo sicuramente da qualche parte in metropolitana o a mangiare za'atar libanese guardando il tramonto sulla baia. Questa sera siamo a casa e abbiamo finito cena da poco. E siamo tutti belli contenti.
Fare le bolle di sapone è un'arte. A quanto pare io non la conosco manco di striscio. Le mie bolle fanno schifo, sono piccole quando va bene e sembrano dei dodecaedri quando non so nemmeno io come sia stato possibile farle venir fuori in quel modo. "Dipende da come soffi", mi dice la Ragazza Dai Capelli Rossi. Figurati se il problema non era di nuovo quello. Ieri pomeriggio avevo provato a suonare il suo flauto. Suonare è un termine forte, ok. Diciamo che avevo almeno provato a soffiarci dentro. Il piccoletto lo aveva indicato lassù, sulla libreria. Credo lo abbia anche nominato ma io ci ho messo un po' a capire. Nonostante dica ancora poche parole, la sua pronuncia inglese è comunque migliore della mia, poche palle. Quando indico il suo piedino io dico "to", mentre lui mi fissa e riesce tranquillamente a dire "toe". A mia parziale giustificazione vorrei portare, se posso, la mia non più giovane età per imparar le lingue e il fatto che la pronuncia newyorchese, quel miscuglio creato dagli immigrati irlandesi, dagli ebrei scappati dall'Est Europa e dagli italiani scappati dalla loro miseria, è anni luce lontana da quella roba che ci insegnava alle medie l'insegnante d'inglese di cui sbirciavamo le gambe sotto la cattedra. Fugghedaboutit.

08 luglio 2014

Scrivania con vista grattacieli [ NYC #34 ]

Alzo lo sguardo. Il termometro dice che ci sono 98º F alle 3:33. Continuo a camminare. Finora, lungo la mia strada ho già contato: una pizzeria "Benevento", un negozio di video porno che garantisce di avere i prezzi più bassi della città, un'officina dove comprare vecchie macchine delle polizia, un negozio per noleggiare piattaforme autosollevanti e tutto quello che può servire in edilizia, una palestra dove i battitori di baseball si allenano dentro gabbie, un magazzino dove comprare polli ancora vivi, anche loro in gabbia, e il cui puzzo riesce pure a coprire i gas di scarico che cadono sulla lunga Avenue dall'altrettanto lunga autostrada che la sovrasta e la insegue per alcune miglia. Dopo un'altra ora a passo deciso, arrivo finalmente a destinazione. Scelgo il mio tavolo e mi siedo dove l'ombrellone crea un piccolo spicchio d'ombra pur lasciando filtrare il sole. Con il brusio vale lo stesso un minuto di silenzio alla memoria? A metà pomeriggio la "expressway" che sta alle mie spalle è express solo di nome. Soprattutto in direzione Queens, il traffico sull'autostrada che separa il quartiere benestante di Brooklyn Heights dalla baia è decisamente lento. Sarà forse perché alle macchine sono abituato da sempre, ma non ne sento il rumore, e non solo perché queste si muovono a malapena in un mezzo ingorgo. Da qualche mese, soprattutto quando vengo qui, sto anche abituandomi ad un nuovo tipo di rumore, che ormai considero quasi bianco, un rumore nuovo almeno per me: quello degli elicotteri.

25 giugno 2014

Un marchio di nome Brooklyn [ NYC #33 ]

Prima di iniziare, mi levo subito il dente: l'Italia è fuori dai Mondiali in Brasile. Battuti pure dall'Uruguay. Dice che adesso sarà tempo di ricostruzione. Mah, ci credo poco. La Grande Trasformazione non era iniziata già quattro anni fa, dopo essere andati fuori al primo turno in Sudafrica? Questo sarebbe il risultato finale di quattro anni di esperimenti? Boh, sarò io che non capisco. Ora posso cambiare discorso. In questo momento non capisco nemmeno se il vento stia soffiando da est. Lo sento alle mie spalle ma sento anche la polvere che entra dritta nei miei occhi nonostante gli occhiali da sole. Potrebbe essere la polvere che si solleva dal cementificio oppure quella che arriva dalla fabbrica che stanno smantellando qua davanti. C'è una montagna di rifiuti metallici che, giorno dopo giorno, è diventata alta come la stessa fabbrica che è destinata a scomparire. Poco più in là sta scomparendo, una grande lettera alla volta, anche quello che da più di cinquant'anni era considerato uno dei simboli di Brooklyn: l'insegna della ormai defunta "Kentile Floors", che con il suo amianto avrà lasciato defunti pure lei. Per le migliaia di pendolari giornalieri delle linee F e G della metropolitana, che qui corre su un interminabile viadotto largo quanto un ponte, sarà un mezzo shock non vedere più le singole lettere rosse tenute in piedi dall'enorme impalcatura metallica. Qualcuno ha anche creato un comitato per chiedere che l'insegna non venga smantellata, perché rappresenta la vecchia identità industriale di Gowanus, quartiere noto per ospitare uno dei canali più inquinati di tutti gli Stati Uniti. Non solo l'insegna non svetterà più qui, ma il quartiere è in piena trasformazione. Una delle dimostrazioni di questo cambiamento dal corso all'apparenza inarrestabile, è il terrazzo da cui osservo tutta la scena.

06 maggio 2014

La Verità senza palla [ NYC #32 ]

La verità è che quando hai superato di dieci anni il mezzo del cammin della tua vita, dovrebbe essere scontato avere un po' di ritegno. Se poi sei alla festa per il secondo compleanno di una bimba simpatica che divide alcuni pomeriggi con il tuo piccoletto, il tuo contegno dovrebbe essere quello tipico del buon padre di famiglia, premuroso verso tutti pargoli presenti, pronto a correre dietro ogni loro richiesta, attento a non versare liquidi sul pavimento e nemmeno troppo attirato dal buffet, anche se ci sarebbero quelle alette di pollo piccanti, ché difficilmente la festeggiata e i suoi amichetti mangeranno. E invece? La Verità è una stoppata semplicemente stellare all'ultimo secondo utile.
"Ma vieni!!! Go!!!". Non bastasse l'imbarazzante esclamazione, scatto dalla sedia come un grillo, manco avessi avuto una molla sotto il sedere, braccio alzato e pugno chiuso degno di migliori cause. Mi fissano tutti, immagino che lo stia facendo, dalla sua sedia a rotelle, anche la bisnonna materna della piccola festeggiata, che però io non riesco a vedere. Qualcuno, forse, avrà pure pensato che sono un intruso alla festa, dove i parenti della mamma di questa incantevole bimba parlano cinese e quelli del papà spagnolo, per cui con il mio inglese italianizzato, e al fianco di una ragazza dai capelli rossi, ero passato inosservato sino a quel momento. "Yeah, I'm really sorry! You know... I mean... Italians are passionate...". Mi ricompongo e cerco di darmi un tono più decoroso. Ora posso lasciar perdere il televisore, che mi ha reso strabico nell'ultima mezz'ora, e dedicarmi esclusivamente ai bimbi. Adesso sono pronto a riprendere la nostra palla e a farla girare a terra, per l'ennesima volta, come fosse una trottola. E la festeggiata ride di nuovo, sempre nello stesso identico modo, come aveva già fatto nelle altre venticinque volte in cui avevo esibito questa abilità, che un giorno, di sicuro, mi renderà un Dio invincibile tra i bambini del Mondo. 
Ma la Verità è che qui, in questo reale piccolo pezzo di Mondo che è Brooklyn, l'unico Dio con la palla, e pure senza, è Paul Pierce.

17 aprile 2014

Brownie Eyes [ NYC #31 ]

Essere un veterano di guerra può avere ben poco di epico. Quand'anche avessi la fortuna di tornare vivo, o solo con qualche arto in meno, potresti però ritrovarti senza casa e lavoro. Come il veterano dell'Afghanistan che chiede l'elemosina sulla Quinta Avenue a Sunset Park. Davanti alla Chiesa di "Nostra Signora Dell'Aiuto Perpetuo" c'è un banchetto con tre madamine che vendono biglietti per un concerto di beneficenza. Non si vedono benefattori all'orizzonte ma si sente forte e chiara la musica che arriva dallo stereo portatile di un vecchio appoggiato al muro a due metri dal banchetto. Immobile come una statua, la barba resa ancora più bianca dalla sua pelle scura. La musica funky che esce dal suo piccolo stereo è quasi un'eresia, da queste parti: per venti isolati buoni questa è una roccaforte sudamericana, dove le macchine ferme al semaforo pompano salsa a tutto volume. A volte, poi, basta dare un'occhiata ad alcune auto e a chi ci sta dentro per capire perché la polizia abbia messo le telecamere di sicurezza sui lampioni di qualche incrocio, che sono efficaci quanto la citronella con le zanzare.
Qui a Brooklyn, l'angolo tra la Quinta Avenue e la 57esima Strada ha ben poco del glamour che contraddistingue invece il suo omonimo di Manhattan.

11 aprile 2014

Tutta mia la città [ NYC #30 ]

Quando mi lascio l'aeroporto alle spalle, so già che quello che mi aspetta sulle tre corsie della Belt Parkway sarà nient'altro che traffico. È tardo pomeriggio e, a dire il vero, avrei pure  scavallato il picco dell'ora di punta di quel soffio sufficiente per non rimanere imbottigliato. Ma l'oscurità accelerata dalla pioggia battente, e l'acqua sull'asfalto che è precario di suo anche in una giornata torrida, rallentano la marcia dei pendolari in direzione Staten Island. La consolazione inestimabile è che almeno non siamo fermi, ci muoviamo comunque tutti quanti, ad andatura regolare, perfetta per tirare il fiato e arrotolare il nastro degli ultimi dieci giorni. Sono stati quasi senza pausa, e lasceranno pure un po' di malinconia, so già anche questo. Come sapevo che venendo a vivere quaggiù, la famiglia e gli amici lasciati in Italia ci sarebbero mancati maledettamente e quella mancanza l'avremmo sentita ancor di più quando qualcuno di loro fosse venuto a trovarci. Così è stato. Quando vedo la sagoma sfocata del Ponte di Verrazano mi si chiude lo stomaco, sono quasi a casa.

27 marzo 2014

Impensabile [ NYC #29 ]

Con il burro d'arachidi avevo già fatto i conti quando ancora vivevamo a Torino. Ovvio che una moglie americana, e per giunta in gravidanza, avrebbe prima o poi manifestato il desiderio di mangiarlo e noi avevamo pure trovato un ottimo prodotto tedesco acquistabile in una di quelle enormi botteghe mascherate da supermercato nelle quali anche la tua carta di credito deve essere iper e biologica. Insomma, il burro d'arachidi ho iniziato ad apprezzarlo in tempi non sospetti. Ma che ora io usi il mio indice destro per pulire un vasetto di yogurt, ecco, questo si che dovrebbe mettermi in allarme. Invece niente. Potrei dire che a mia parziale discolpa c'è che questo yogurt è fatto con una ricetta persiana, è ancora più denso di quello greco ed è impossibile non apprezzare una crema di formaggio con menta, uvetta e noci. Con il latte che arriva dalla valle dell'Hudson lo producono un papà e sua figlia qui a Brooklyn, seguendo i dettami lasciati dalla nonna e dalla bisnonna. Te lo consegnano direttamente a casa e noi ce lo facciamo portare insieme ad altre cose buone, tipo carne o formaggi, tutte provenienti da piccoli produttori locali. Nonostante "local" qui si traduca in tutto quello che viene sfornato e fa tendenza a Brooklyn (che ancora per un po' rimarrà il posto più fico della Terra, perché così hanno detto e punto e basta), in realtà le cozze arrivano dal Maine e un'ottima toma dal Vermont (si fa compagnia in frigo con una piccola fetta di Raschera).
Avendo sempre presente, davvero come una stella polare, le parole dell'amico napoletano "Guru", che mangiando la pizza a Roma diceva: "buona, mi piace anche, basta non chiamarla pizza", e che una sera di anni fa mi mandò un messaggio per dirmi che in televisione aveva appena riconosciuto, davanti al forno di una nota pizzeria di Torino, un pizzaiolo in trasferta da Napoli; adesso mi sorprendo a mangiare e ad apprezzare, lontano dal mio usuale fondamentalismo culinario, una "sicilian pie" con tanto di pomodoro condito con il pepe e messo sopra  uno strato di formaggio. Il concetto dovrebbe essere quello dello sfincione e poco importa se siamo un po' distanti da quello tradizionale. "L&B Spumoni Gardens" è dal 1939 che sta a Brooklyn e vale assolutamente il viaggio in questa vecchia enclave italiana che era Gravesend.
La nuova moka da 9 tazze, diconsi nove, è al secondo giro di caffè da scartare prima d'essere messa seriamente alla prova. La vecchia moka è stata pensionata ormai da almeno due mesi e non era stata ancora sostituita. Per una famiglia italiana-e-americana questo dovrebbe essere un mezzo affronto, una macchia da lavare con l'espresso. Ma io, a dire il vero, inizio ad amare sempre di più il caffè americano, dal marchio popolare newyorchese che acquisto in gigantesche lattine (non so come si chiami l'ossimoro involontario) ai chicchi tostati nel nostro locale preferito, tra le vecchie strade dei magazzini di Red Hook.
Addio, vecchio fondamentalismo alimentare, adesso sono vecchio pure io. E tu non eri solo anacronistico. No, eri proprio inutile.

08 marzo 2014

Welcome to the real world [ NYC #28 ]

Credevo che i dinosauri si fossero estinti. Sbagliato. Non avevo mai guardato sotto il divano.
"Si, vabbé, figliolo. Comunque non c'è verso che non si estinguano. Guardali: sono in dieci e c'hanno un solo albero da mangiare da mangiare, ma dai...". 
Non credo mi stia davvero ascoltando. Forse la doppia negazione nella stessa frase gli ha chiuso le orecchie o forse la sua coscienza ambientale non ancora così sviluppata. Di fatto, raccoglie il suo mini-albero, prende i mini-dinosauri che erano spariti sotto il divano e li mette di nuovo nel loro scatola di plastica, un cilindro dove fino a qualche giorno fa si trovavano dei carciofi sottolio. Poi si gira verso la libreria e afferra la cassetta con la frutta. Ci sono una pera, una fragola, un limone, un kiwi, un'arancia, una banana e una fetta di melone. Sono divisi in due o più parti e tenuti insieme con dei piccoli inserti di velcro. Tutti rigorosamente in legno, come in legno sono il coltello, due fette di pane, un tostapane, un panetto di burro, un piattino e una bottiglietta di miele. Faccio tostare le due fette di pane e ci metto il burro sopra.
"Allora, piccolo. La vedi la ragazza dai capelli rossi seduta al tavolo? Ha chiamato giusto poco fa e ha ordinato un panino al burro. Due fette di pane tostato, esatto, e del burro. Sono 28 dollari, ok? Quindi ricorda: ti spettano almeno 5 dollari di mancia. Vai".

12 febbraio 2014

Dedicato a Roberto "Freak" Antoni

Ho un ricordo molto vivido della fine degli anni '70 anche se ero solo un bambino di dieci anni. Ricordo bene quando un cugino più grande, che si era trasferito a Torino, portava a casa "il Male", la rivista satirica. Non dimenticherò mai il numero con il presepe da ritagliare: c'era anche una figurina di un uomo con il mitra. Capivo poco e niente, ovvio. Ma la Torino di quegli anni era chiara anche per un bambino. Non avevamo un giradischi, quando ero un bambino, ma io ascoltavo lo stesso tanta musica alla radio. Eppure arrivai agli Skiantos solo dieci anni più tardi, con una loro raccolta. "Ze best in laiv!", finalmente un vinile. Ho lasciato i miei pochi dischi in Italia e ho portato con me solo alcuni cd. Tra questi, una raccolta degli Skiantos.
Non conto le volte che li ho poi visti in concerto. La mia era semplice adorazione, punto e basta.
Ma non potrò mai dimenticare la prima volta che ho avuto la fortuna di ascoltare dal vivo Roberto "Freak" Antoni, quando l'Hiroshima mon Amour si trovava ancora in via Belfiore.
Sul palco c'era solo lui, a leggere il suo libro di aforismi, appena pubblicato da Feltrinelli.
"Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti".
Come tanti, ho letto che stamattina Roberto "Freak" Antoni è morto.
Facciamo largo all'avanguardia, siamo un pubblico di merda.

25 gennaio 2014

Go! Go! Go! [ NYC #27 ]

"Il vostro Governatore ha detto che dobbiamo andare a riformare il modo in cui si finanziano le campagne elettorali. Io posso solo aggiungere: andiamo, andiamo, andiamo!". La traduzione forse calpesta lo stile, ma il nostro "forza" non renderebbe così bene il concetto. Il pubblico, che riempie tutta la moderna chiesa evangelica di Saint Peter a midtown Manhattan, applaude a lungo e convinto. Elizabeth Warren, senatrice democratica del Massachusetts, la nuova speranza dei progressisti d'America anche se per ora dice che non correrà per le presidenziali del 2016, è venuta a New York per parlare di denaro e politica e per promuovere la proposta del finanziamento pubblico per le elezioni (che è cosa diversa da quello che intendiamo noi italiani). Ad accoglierla ci sono Letitia James, nuova public advocate cittadina, eletta nelle file del Working Families Party, ed Eric Schneiderman, Procuratore Generale dello Stato di New York, democratico ed amico del Governatore Cuomo.

16 gennaio 2014

C'è ma non si vede [ NYC #26 ]

"Ma, dico, se i milanesi, a Milano, quando c'è la nebbia, non vedono, come si fa a vedere che c'è la nebbia a Milano?". Totò, Peppino e la Malafemmina. Immortale.
A parte la rottura di una condotta dell'acqua sotto la Quinta Strada nel Greenwich Village, conseguente collasso dell'asfalto e ritardi a catena per almeno mezza dozzina di linee della metropolitana. 
A parte l'ennesimo pedone ucciso da una macchina, cosa che capita almeno 150 volte all'anno e purtroppo qui tutti accettano fatalisticamente come prezzo da pagare se vivi in una grande metropoli, anche se il sindaco De Blasio ha detto che tutto ciò è inaccettabile e lui si occuperà subito del problema; e anche se, pur vincendo il confronto sulla sicurezza con il resto delle grandi città americane, New York è assai lontana dalle più virtuose metropoli del mondo.
A parte i festeggiamenti per la ricorrenza del quinto anno dall'ammaraggio di un volo della US Airways nell'Hudson, finito con tutti i passeggeri sani e salvi e un aereo in discarica.
A parte questo, ieri in città non s'è fatto altro che parlare della nebbia. Oggi, calma piatta.
La nuova mania per la nebbia è colpa di Instagram e di tutti quelli che, da un aeroplano o da un grattacielo, sono riusciti a scattare fotografie che hanno invaso praticamente tutte le redazioni cittadine. Ok, devo riconoscere che alcune erano davvero suggestive. Fortunato chi si trovava così in alto da vedere sbucare tra le nuvole bassissime il ponte di Verrazano. Chapeau.
Magari non era così impenetrabile come tra le risaie attorno a Pavia o nelle campagne più desolate della Pianura Padana. Ma anche a Torino la nebbia non scherzava e aveva il suo fascino, soprattutto nelle sere invernali, che davano un'aria spettrale a Piazza Castello. E di giorno era sufficiente salire già solo a Rivoli per vedere la città schiacciata sotto le nuvole. Però il Po non era largo come l'Hudson e nemmeno c'era un porto.
Qui non so nel resto della città, perché New York è davvero un po' larga e le si fa torto a chiuderla in una descrizione punto-e-basta. Ma almeno in quest'area di Brooklyn, dove la baia si stringe prima di sfociare nell'Oceano, puoi anche essere bloccato in casa, puoi anche essere nel buio più completo, ma saprai sempre quando c'è la nebbia: le sirene delle navi non smettono d'ululare.

[P.S. Qui alcune fotografie pubblicate da Ghotamist.com]

07 gennaio 2014

Mai come ora, F R E E Z E R *** [ NYC #25 ]

Nato durante un violento temporale, amo il vento, la pioggia, la neve, il caldo secco e un po' meno l'afa, per via di quel maledetto malditesta che mi viene da quando ero un ragazzino e la sinusite, o una sua parente stretta, mi teneva compagnia. Il tempo non condiziona il mio umore. Il mio umore volge al rabbioso, però, quando sento qualcuno lamentarsi del tempo. È agosto? "Uh, che caldo fa!". È gennaio? "Uh, che freddo fa!". Per favore, taci, fammela 'sta cortesia, uh. E manco ti chiedo di pensare al riscaldamento globale, figurati.
Ma oggi, per una volta almeno, sono io che devo concedermi un eccezione: oggi c'è un freddo davvero brutale, qui si congela. No, no, non è uno scherzo. Il centro meteorologico ha detto di fare attenzione, ché con temperature tra i -14º di stamane e gli attuali meno -12°, che sembravano -21° e  ora -18° per colpa del vento che arriva dal Polo Nord, il rischio di congelamento della pelle diventa reale dopo un'esposizione al freddo per oltre 40 minuti. La vera preoccupazione è per i senzatetto totali, quelli che vivono per strada o nella metropolitana. A New York ci sono 3180 persone che ogni sera dormono dove capita, in qualche riparo improvvisato o sui vagoni dei treni che non si fermano mai nelle 24 ore. 
Il cielo adesso è di un blù intenso. L'Empire State Building si prende il sole e si mette in posa per le cartoline dei turisti. Il vento non è più forte come stamattina. Però se imbocchi la strada sbagliata, l'aria che ti arriva in faccia è ugualmente feroce. Benedico il passamontagna, che sul serio protegge dal freddo. Ma la pressione del mio sangue si fa sentire e punta dove il naso incontra la fronte. 
La borsa della nostra spesa non ha bisogno del frigorifero. Il piccoletto è sepolto nel suo passeggino, sotto qualche strato di vestiti, una coperta e un telo in plastica anti-tutto.  La ragazza dai capelli rossi inizia ad avere rosse anche le guance. Si, credo che sia l'ora di tornare a casa.

05 gennaio 2014

Ma come fanno i newyorchesi [ NYC #24 ]

Marziani. Io non li capisco, i newyorchesi. Siamo arrivati qui a febbraio dello scorso anno, e c'è stata una bufera di neve. Due giorni fa, altra bufera, e siamo appena a gennaio. Venti e più centimetri di neve, vento fortissimo, ghiaccio. Centinaia di voli cancellati. Dall'autunno credo che abbia già nevicato almeno quattro volte. E loro che fanno? Imperterriti, escono di casa con i loro scarponcini alti, quelli fatti per camminare nella neve, si, proprio quelli. Di tutte le forme e colori. Nella metropolitana puoi vedere qualcuno con le scarpe da ginnastica, ma solo perché due giorni dopo, nonostante ci siano ancora ammassi di neve sporca lungo le strade e i marciapiedi, ci sono anche spazi dove puoi camminare senza per forza affondare i piedi. Qualche donna si azzarda a mettere gli stivali alti, per essere un po' più alla moda. Ci fosse qualcuna che provasse a camminare sui tacchi o qualche uomo in mocassini! Oh, magari ci saranno pure, ci devono essere, ecchediamine, in qualche ufficio ultramoderno di qualche super agenzia di pubbliche relazioni o nelle banche di Wall Street. Ma tra il Popolo della metropolitana e il Popolo dei ristoranti di SoHo, proprio non riesco a vederle. Ti credo che poi non sono capaci di lamentarsi se nevica a gennaio e manco riescono ad intonare peana per la primavera anticipata! Tu la concepiresti la neve, che ne so, a Torino? Secondo me, a dirla tutta, non dovrebbero concepirla manco ad Aosta. Loro, marziani, invece concepiscono la neve, le bufere e stanno pure a disegnare mappe per capire come evacuare meglio certi quartieri al prossimo uragano, perché sanno che prima o poi tornerà, eccome, l'uragano. Ma dico io! Lascialo in pace quell'uragano lì, che sarà per i fatti suoi, ancora senza nome, bello lontano e non vuole certo che tu lo chiami con la tua ossessione da pronti al tutto e se è peggio anche meglio. Io l'orecchio lo tendo, e di "f**king snow" non ne sento, forse colpa del casino che fanno i treni in galleria. "Maldita nieve" sarei comunque capace a riconoscerlo, mentre con "他媽的雪" dovrei proprio allungarlo al massimo, il mio orecchio. A leggere i commenti su Facebook, per uno che suggerisce di trasferirsi in Florida, ce ne sono almeno quattro che gli rispondono "no, grazie, preferiamo tutte e quattro le stagioni". Fatti due calcoli, ché qui le analisi statistiche sono ovunque, a un 20%  di commentatori Miami andrebbe sicuramente meglio.

01 gennaio 2014

Bill De Blasio e la Tempesta [ NYC #23 ]

"I tuoi sindaci sono sempre alti", dico al piccoletto mentre insieme fissiamo il televisore sintonizzato sul canale locale della televisione pubblica. "Fassino è alto, e anche De Blasio non scherza". Pochi minuti dopo la mezzanotte del nuovo anno, Bill De Blasio ha giurato davanti alla sua modesta casa di Park Slope a Brooklyn, con la sua famiglia a fare da cornice. Sarà il 109esimo sindaco di New York. A mezzogiorno, davanti alla City Hall, il discorso di inaugurazione e secondo giuramento per le telecamere davanti all'ex Presidente Bill Clinton.
La giornata è stata introdotta da Harry Belafonte, che dal podio non ha perso tempo e, senza giri di parole, ha parlato di disparità razziali, della pratica dello "stop and frisk" che ha colpito soprattutto gli afroamericani e di un sistema di giustizia nazionale che sarebbe simile a quello raccontato di Charles Dickens.
Dickens sarà ricordato come l'involontario fornitore dello slogan che ha permesso a Bill De Blasio di sbaragliare i suoi concorrenti, prima alle primarie democratiche e poi nell'elezione di novembre. Il "racconto delle due città" ha fatto breccia nell'elettorato che ha deciso di andare a votare. Perché non dobbiamo dimenticare che in questa nazione si reca alle urne solo una minoranza della popolazione, quella che ancora non ha perso fiducia non tanto nei partiti politici quanto nella politica in senso lato.

Mamma li Americani



Da fine gennaio Fiat diventerà proprietaria di Chrysler al 100%. Domattina dall'Italia ci spiegheranno il perché e il per come. Ci saranno commenti pronti a spiegarci quel che noi ingenui non abbiamo capito, le mosse segrete, i significati invisibili, le minacce future, quelle minacce che da anni continuano a rimanere noiosamente future. Tranquilli, amici: qualcosa sull'IPO Chrysler, sulle azioni detenute ancora dal fondo pensionistico VEBA e sul desiderio di Fiat di acquisire il pieno controllo della casa automobilistica di Detroit, lo avevamo intuito, e non per meriti particolari: era sufficiente leggere qua e là, magari fuori dalla solita rassicurante cerchia dei presunti esperti del settore automotive (soprattutto di quelli con ambizioni politiche). Che l'IPO fosse improbabile, per esempio, era già cosa chiara quando a settembre alcuni commentatori americani spiegavano che il prospetto, sottoscritto solo da una banca d'affari (fatto anomalo, perché nelle IPO tutti vogliono provare a guadagnare qualcosa), era un chiaro invito ai potenziali investitori a tenersi lontani, pena lo svuotamento di Chrysler da parte di Fiat. La minaccia sembrava un azzardo, se non un conflitto d'interessi, visto che Torino era già a capo di Detroit. Ma con i soldi qui negli States non scherza nessuno, perché non si trattava di una partita di poker ma dei trattamenti pensionistici di milioni di lavoratori del fondo VEBA, il quale forse non voleva proprio correre il rischio di perdere. E si, perché a questa latitudine, diversamente da quel che si pensa in Italia, tutti i commentatori economici  ritengono che Fiat abbia sicuramente bisogno degli utili di Chrysler, in quanto il mercato americano cresce mentre quello europeo, e italiano in particolare, è in caduta; ma ritengono altresì che Chrysler, senza la tecnologia apportata da Fiat, sarebbe già scomparsa da tempo. Quest'ultimo aspetto è quello che ha sempre fatto urlare "al lupo" gli osservatori italiani, terrorizzati che Fiat potesse diventare americana.