21 novembre 2015

Catrame [ NYC #55 ]

A New York come a Parigi


"Me siento muy contento, me siento muy feliz", cantano in coro i quattro musicisti. Potrebbero essere messicani, ma a parte il pregiudizio non ho altri motivi per pensarlo. Scendono a DeKalb Avenue, l'ultima fermata di Brooklyn prima di arrivare a Manhattan. La metropolitana riparte. Ho trovato posto a sedere al fondo della carrozza e sento che potrei addormentarmi da un momento all'altro, anche se è solo metà pomeriggio. Si apre la porta che dà sulla passerella che connette i vagoni. Quella porta che, secondo i moniti terrorizzanti scritti per i genitori sul retro delle metrocard, non si dovrebbe mai aprire per non rischiare di finire sui binari. In mancanza di bagni pubblici nelle stazioni, quella passerella è non di rado usata come orinatoio.
Guggenheim Museum

Dal vagone a fianco arrivano due ragazzi. Uno ha in mano uno stereo portatile, l'altro annuncia che è "showtime". Iniziano a ballare. Nonostante il volume della musica sia decisamente alto, Shazam non mi aiuta a riconoscere quel giro ossessivo che mi sta entrando piano piano nella testa. Il treno adesso corre in superficie lungo il Manhattan Bridge. Giusto il tempo di guardare su Internet le ultime notizie dalla città. A Midtown un isolato si sta riempendo di fumo. Pare sia solo un incendio, niente di grave. Qui gli attacchi terroristici di Parigi, freschi di nemmeno 24 ore, trovano nervi allenati alla minaccia permanente: è una consuetudine la voce in metropolitana che ti ripete "if you see something, say something". Ma non sorprende che molti abbiano iniziato a pubblicare immagini via Twitter e a chiedersi cosa stia succedendo in mezzo a quel fumo. Si torna in galleria e non c'è più segnale. Un pensiero in meno.

02 novembre 2015

La città in festa [ NYC #54 ]

Halloween e Maratona, accoppiata vincente


Partenza alle 9.50 in punto, alla presenza di Spike Lee e del sindaco De Blasio. Quando allo sparo dello starter gli uomini si lanciano lungo il ponte di Verrazano, io finisco il caffè, afferro il mio mezzo bagel, bacio la famiglia e mi lancio per le scale, giusto il tempo di un'ultima occhiata intensa alla televisione. Prima che i corridori professionisti raggiungano l'incrocio tra la 21esima Street e la Quarta Avenue a Brooklyn dovranno percorrere 6 miglia, o poco più di 9 km e mezzo. A me basterà fare tre isolati, e pure in discesa.
Fourth Avenue, Brooklyn

Come ogni prima domenica di novembre, è il glorioso giorno della Maratona di New York. Quest'anno cade esattamente 24 ore dopo Halloween, anche se per noi ha fatto poca differenza.
Dopo settimane di preparazione, tra costume di Captain America e Jack-o-Lantern di vera zucca con tanto di vere candele, il nostro pomeriggio di Halloween non lo abbiamo trascorso accompagnando il piccoletto da un negozio all'altro del quartiere per il tradizionale "dolcetto o scherzetto" dei bambini americani metropolitani. Lo abbiamo invece dedicato alla pediatra.
Per il terzo anno di fila, cioè da sempre per lui, il nostro piccoletto non ha potuto festeggiare. Una maledizione vera, perché sembra che sempre in questo periodo lui sia destinato a prendersi qualche forma di influenza o altri virus balordi, alla faccia dei vaccini stagionali e del maniacale lavaggio delle manine. Chissà, un giorno anche lui riuscirà a godersi Halloween e ce ne andremo tutti quanti a spasso in costume, come qui fanno tante famiglie con i loro bambini. I migliori? La famiglia di "Incredibili" vista a Fort Greene.

09 agosto 2015

Basta crederci [ NYC #53 ]

Credenze metropolitane e altre leggende


Macchina da East Village
A beneficio dei nuovi arrivati, soprattutto dalle immense aree suburbane americane, uno dei mantra locali più ripetuti in città recita: a New York non serve avere un'automobile. In effetti, con una metropolitana tanto estesa e con oltre 13mila taxi lungo le strade, guidati giorno e notte da 50mila autisti, non possedere una macchina sembra ragionevole, soprattutto a Manhattan. Adesso, poi, con altri 50mila potenziali autisti di Uber in tutti e cinque i borough cittadini... (e sottolineo comunque potenziali, ché il numero di corse totali che effettuano è di gran lunga inferiore a quelle dei taxi gialli). Insomma, avere una macchina? Lo dice il mantra: inutile. E ci credi pure. Fino a quando arriva il giorno in cui maledici di non averne una di tua proprietà e di non esserci seduto comodamente dentro, anche se bloccato al semaforo.

13 luglio 2015

Taramosalata [ NYC #52 ]

Scrivere, e pure fare l'amore


Brooklyn, stazione di Bay Parkway e vista su Washington Cemetery, cimitero ebraico
"Grandissimo blogger". Addirittura. Lui le parole sa usarle, ma forse intendeva grosso. "Profondo, utile ed intelligente". Adesso è chiaro: sta parlando di me ma non sta pensando a me. "Unico difetto...". Vai, ecco che arriva il missile. "Sei troppo prolisso. Mai più di 1800 caratteri. Mai. Mai. Fidati. Piuttosto spezza il pensiero. Baci". Che faccio? Prendo i baci e tutto il resto. Immagino che CarloBV mi voglia bene e voglia il mio bene. Per questo farò una copia di quel messaggio, prima che affondi tra i tanti su Facebook. E continuerò a scrivere senza spezzare pensieri o contare parole.

12 luglio 2015

Bagaglio a mano [ NYC #51 ]

Per un viaggio di tre ore un sacchetto di plastica basta e avanza


Dice che, una volta tirato fuori dal frigo, il caciocavallo possa resistere per tre ore chiuso in un sacchetto sotto il sole. Basta che il sacchetto si muova ad andatura regolare, seppur incerta, e non rimanga fermo nella stessa posizione per più di trenta minuti. Con questa massima di saggezza in testa, so già cosa fare quando esco dall'ufficio immigrazione.

[ Parentesi. Tutte le volte che sono stato dentro un ufficio dell'immigrazione qui negli Stati Uniti, da Miami a New York, ho pensato una sola cosa: noi, in Italia, siamo delle merde. E tutte le volte ho ripensato alle code fuori da quella specie di basso fabbricato camuffato da galera in Corso Verona a Torino, dove la Ragazza Dai Capelli Rossi, già in gravidanza, doveva attendere in piedi l'apertura perché non c'era un orario per l'appuntamento. Questo valeva per le altre donne nella sua condizione così come per chiunque altro. Quando ripenso a quell'enorme magazzino con tanto di sbarre a separare la sala d'attesa dagli sportelli, e quando ripenso alle urla che alcuni funzionari rivolgevano agli uomini e alle donne che erano lì, talvolta anche con i loro figli, penso che noi in Italia siamo semplicemente delle merde. Con tutte le eccezioni possibili e con tutta l'umanità dimostrata da altri funzionari e poliziotti, e che noi abbiamo sperimentato in prima persona, il sistema è comunque organizzato per umiliare le persone. Non è necessario essere delle merde ed è pure inutile. Perché una legge e la sua applicazione possono essere severe e restrittive, come succede negli Stati Uniti, senza per questo essere meno civili. Se poi in tre anni le cose sono migliorate, allora posso usare l'imperfetto: eravamo. Chiusa parentesi. ]

In un'ora sono fuori dall'ufficio immigrazione, dove mi hanno fatto un nuova fotografia e ho lasciato nuovamente le mie impronte digitali. Peccato solo che ieri mi sia dimenticato d'andare a tagliarmi i capelli. Almeno i polpastrelli erano in ordine. Per fare queste pratiche non si va all'ufficio centrale di Manhattan ma in quelli periferici. Quello cui sono stato assegnato si trova sulla 60th Street a Brooklyn.

La 60th Street è una linea di confine. A nord si estende Borough Park, dove risiede una popolosa comunità di ebrei hassidici. A sud si trova Bensonhurst, forse l'ultima vera enclave tradizionale italiana di una certa dimensione qui in città. Comunità visibile, quella dei nostri connazionali, almeno fino a quando gli ultimi negozi italiani non lasceranno spazio alla più dinamica Chinatown del quartiere, lungo la caotica 86th Street.

09 giugno 2015

La Cara Estinta [ NYC #50 ]

Se Basquiat fosse ancora vivo, vivrebbe a Bushwick

Brooklyn della tua bisnonna non c'è più nemmeno lei

Quando torni in Italia, o quando parli con qualcuno che sta in Italia, quattro persone su due ti dicono: "Dov'è che vivi adesso? A Brooklyn? Aaah, Broccolino...". Quattro su due, perché ognuno te lo ripete almeno due volte dal momento in cui ti ha fatto la domanda. Tutti, poi, anche quelli che avevano la nonna di Luserna San Giovanni, provano a pronunciare "Broccoliiiinoo" come fossero siciliani. Serve a niente far notare che nemmeno Franco e Ciccio parlassero in quel modo.

L'ho già detto, e lo ripeto. Non tanto per me, ché non mi cambia la vita, quanto per chi ancora non lo sapesse in Italia.

Brooklyn è il Centro dell'Universo, niente meno.

Presente Isola Posse All Stars, "Bologna è solo il buco del culo del Mondo"? Ecco, moltiplicato per cento. La fama di Bologna non superava il Salento. TUTTI, invece, conoscono Brooklyn, e per questo usano il suo nome per vendere la qualunque. Avviene così in tutto il Mondo, dalla Danimarca alla Thailandia. Ma saltando l'Italia, a quanto pare.

Immagine non disponibile [ NYC #49 ]

Così diversi da essere normali


Domenica, quasi ora di cena. Sole calato dietro gli alberi e aria fresca. Giardini pubblici con pochi bambini e noi genitori siamo ancora meno. 

Un ragazzo corre lungo il marciapiede oltre la cancellata.

Voglio osservare la reazione di due amiche sedute su una panchina vicino all'ingresso. Lo stanno seguendo con lo sguardo mentre si avvicina veloce. Quando le supera, una delle due amiche si volta e continua a seguire la sua corsa per un po', fino a quando il ragazzo esce dalla loro visuale.

Un paio di pantaloncini corti, un torso nudo e due volti sorridenti incorniciati dall'hijab. Una fotografia d'impatto, un racconto perfetto, meglio di tante parole. Ma non credo che senza il velo delle due ragazze quella piccola storia di corpi e occhiate avrebbe lo stesso attirato la mia attenzione.

Sul momento ho rimpianto di non aver afferrato il telefono per fermare quell'immagine. Adesso non so spiegarlo, ma sono contento di non aver rubato quello scatto.

Non fare davvero nemmeno più caso alle tante espressioni della diversità, perché la diversità è parte della normalità di tutti i giorni, e la normalità non ci fa girare la testa, richiede tempi lunghi per tutti. Anche per gli uomini di buona volontà, anche quando vivono in una copia del Mappamondo in formato ridotto. Con buona pace delle nostre illusioni contrarie.

31 maggio 2015

Fa così tanto New York [ NYC #48 ]

Il Sole tra i grattacieli? Meglio il tramonto nel Queens


Manhattanhenge! L'ho dimenticato anche questa volta? No, non è un'imprecazione. È il nome di quel fenomeno per il quale, due giorni all'anno, il sole durante il tramonto è esattamente allineato con le strade che a Manhattan vanno da est a ovest. Se ti metti al centro della 14th o della 42nd Street, per esempio, vedrai il sole calare all'orizzonte esattamente in mezzo ai grattacieli. E pare che tu possa vederlo nonostante la folla di turisti e newyorchesi che da anni si accalca sempre più numerosa lungo le strade, brandendo soprattutto telefonini per arrivare prima di tutti gli altri con una foto su Instagram e Twitter. Il nome Manhattanhenge è stato coniato nel 2002 da Neil deGrasse Tyson, astrofisico e divulgatore scientifico reso famoso dalla TV pubblica americana. Il riferimento è allo Stonehenge inglese e al suo asse rivolto al Sole durante il solstizio d'estate. Sabato 30 maggio e domenica 12 luglio sono i due giorni da segnare sul calendario per il Manhattanhenge 2015. Il primo giorno l'ho già perso, e non solo per colpa del cielo parzialmente coperto. Perché se è vero che ho deciso che prima o poi devo farla pure io 'st'sperienza tutta newyorchese, è altrettanto vero che per il mio ultimo sabato di maggio avevo già preso anche un'altra decisione: all'ora del tramonto sarei stato da tutt'altra parte, a Sunnyside. E aspettando la metropolitana che mi avrebbe riportato a casa, guardavo all'orizzonte le nuvole arrivare proprio sul cielo di Manhattan, per il dramma di migliaia di macchine fotografiche.

27 marzo 2015

La Magnifica Ossessione [ NYC #47 ]

O di quante cose puoi fare per appartenere alla tua nuova città


"Ho appena finito la mia passeggiata di 17 km, forse anche 18, bòh. In sole, si fa per dire, sei ore. E mi sono fermato a mangiare due toast su una panchina davanti alla City Hall e poi a comprare tre regali: uno per me, uno per la Ragazza Dai Capelli Rossi e uno per il nostro Piccoletto. Si, ho fatto anche una sola sosta tecnica in una biblioteca, per fare pipì. E cammin facendo ho fatto pure due lunghissime telefonate". Runtastic dovrebbe raccontare anche cose così. Per questo non la uso, oltre al fatto che correre sia contro la mia religione. Comunque, nonostante mi piaccia passeggiare per ore, per la mia religione non sarei in grado di concepire camminate più impegnative tipo, che ne so, il Cammino di Santiago. E non solo perché io e la fede non siamo nemmeno lontani parenti.
A pensarci, sono sempre più convinto che quel che potrei fare, invece, è la guida turistica qui a New York. Si, potrei fare la guida come passatempo, di tanto in tanto. Ma non quella tradizionale, tipo quella che fa da cicerone al MoMA o quella che porta a spasso con la bandierina. Turista italiano che arrivi in città con le tue valigie di memorie musicali o cinematografiche: hai in testa quella copertina dei Ramones e sai che aveva a che fare col defunto CBGB? Nella tua stanza hai appeso da decenni il poster di Woody Allen in "Manhattan"? Facile, con due parole su Google ci metti un attimo a trovare da te quel perduto angolo di punk e andare laggiù per il tuo meritato autoscatto. Così come potrai vedere che la panchina di Woody Allen non c'è più. Ma se vieni a fare due passi con me, negli stessi luoghi, giuro che ti diverti di più. Anche questa può essere fede. Vuoi camminare lungo la Quinta Strada e buttare l'occhio dentro le vetrine più famose? Va bene. Ma se vuoi, risalendo la stessa strada davanti a Central Park, ti posso fare buttare l'occhio dentro un seminterrato di lusso. E se ti fidi di me, mentre aguzzi un po' la vista, riesco anche a farti vedere i molari del paziente di quel dentista che proprio in uno di quei seminterrati ha il suo studio medico. No, non ti porto in giro a gratis, non è il caso. "We're only in it for the money", lo diceva pure Frank Zappa.

20 marzo 2015

Hoops [ NYC #46 ]

Palla e canestro, più o meno


Ok, allora. Ci sono Marco Belinelli e Manu Ginobili che stanno giocando a palla. Poi arriva pure Carmelo Anthony e dice che lui invece vuole giocare a pallacanestro, perché quella lì è proprio una palla per giocare a basket. Solo che il canestro qui non c'è. Allora io, ché sono un bravo papà, decido di fare io il canestro. Quello umano, con le braccia piegate come fossero un cerchio davanti alla mia faccia, che potrebbe essere un discreto tabellone con il pizzetto. Carmeloanthony inizia con una schiacciata, e ci fa subito capire che non dobbiamo farci ingannare dal suo sorriso: quello, a sei anni, è normale. Il mio Piccoletto, a.k.a. il-Marcobelinelli-di-Greenwood-Heights, fa squadra con lui anche se ha meno della metà dei suoi anni. Manuginobili, che avrà superato i tre anni da qualche settimana, ha deciso di fare coppia con la sorella più grande, arrivata in suo soccorso da non so dove. Oltre a fare il canestro mobile, cerco d'essere un arbitro imparziale. Quando chiamo i falli è l'unico momento in cui parlo in inglese. Ma credo che Manuginobili, soprattutto quando gli fischio a favore, preferisca il mio d'italiano, dal momento che lui sembra parlare solamente in spagnolo. Carmeloanthony e Marcobelinelli si intendono nella loro lingua madre e ogni volta che Carmelo schiaccia, il mio piccoletto urla: "slum dunk!". Altro che mania per la pallacanestro dei college, la vera "March Madness" è qui.
Dice che da troppo tempo New York non sia più capace di creare campioni per la NBA. Nessun dubbio: colpa dei padri che da un momento all'altro sequestrano la palla e fischiano la fine della partita. Sorry, kids, ma io all'ora di pranzo ho fame.

11 febbraio 2015

BAM [ NYC #45 ]

Lezione a sorpresa


Potrei stare ad ascoltarlo per ore. Prima del suo arrivo, nella quieta Natman Room, eravamo solo in tre: io, un altro tizio che come me ha cercato un posto tranquillo per lavorare ed un pupazzo in tessuto, che ha le stesse dimensioni di Jimmy Page e gli stessi vestiti che lui indossò durante un famoso concerto dei Led Zeppelin al Madison Square Garden nel '73. Il pupazzo è opera recente di un'artista di Chicago, Karolina Gnatowski, e fa parte di una piccola mostra ospitata in questa sala. Insieme ad altre opere vuole dimostrare quanto spesso possa essere sottile il confine tra arte e artigianato.

Adesso il nostro oratore parla ad una decina di ragazzi, forse studenti di una vicina scuola superiore. Racconta loro la lunga storia del teatro della Brooklyn Academy of Music. Spiega loro che il teatro dove si trovano è sempre stato, da ben più di un secolo, un luogo importante per Brooklyn e per la città intera. "Questo non è come i teatri di Broadway, qui non c'è sempre il lieto fine. Anzi". Racconta che quando i più importanti nomi del balletto e dell'avanguardia, adesso considerata un classico, arrivavano per la prima volta in America non andavano a Manhattan, ma venivano qui. Spiega loro che questa è sempre stata un'istituzione non-profit e che raccogliere soldi, fare fundraising, anche aumentando il numero degli abbonati e dei sostenitori annuali, è fondamentale non solo per mantenere vivo il teatro e le sue numerose attività ma soprattutto per realizzare lo scopo principale della BAM: essere davvero aperta a tutti i cittadini, anche a quelli che non sono ricchi. Noi avremmo detto "democratica". Ma sto notando che in questo Paese le parole hanno un peso e si preferisce, se possibile, non sgonfiarle inutilmente e nemmeno usarle come prezzemolo.

Ascoltandolo mi compiaccio, per una volta, di non aver bisogno di darmi un tono sapendo chi sia Pina Bausch, ovviamente; ma di sapere chi fosse Robert Moses. I ragazzi sono troppo giovani per conoscere il nome dell'uomo che nella metà del secolo scorso ha dato forma alla New York che conosciamo noi, dando via libera alla costruzione di tutte le più importanti autostrade cittadine. Una delle quali, sventrando il ricco quartiere di Brooklyn Heights lungo l'East River, costrinse all'epoca molti ricchi residenti ad abbandonare il quartiere. E questo, ci spiega il nostro Cicerone, creò problemi anche per il teatro, perché venivano meno ricchi finanziatori.

La lezione è finita. E anch'io e il mio anonimo compagno di sala lo ringraziamo, affascinati.
"Travel Jimmy", invece, non fa una piega. Nemmeno quando passa la metropolitana e i muri intorno a noi tremano.

04 febbraio 2015

Maestro Ghiaccio [ NYC #44 ]

Mai troppo tardi per imparare


L'avviso è chiaro: non camminare sulla superficie del lago perché il ghiaccio è sottile. Le ragazze non mi sembrano farci caso più di tanto. Non ci ballano sopra, si muovono con circospezione, ma sono ben al di là di quella che io considero la soglia della mia personale sicurezza. Credo sia più curiosità che non sfida all'orgoglio maschile malmenato quella che porta anche me ad appoggiare i piedi un metro oltre la riva. L'impressione è che la superficie del lago, ghiacciata e coperta di neve, sia decisamente più solida dell'ammonimento del cartello. Ma l'idea che le mie gambe, da un momento all'altro, possano affondare anche solo in cinquanta centimetri di acqua gelida mi sembra un motivo valido per una ritirata strategica. Tanto, non credo che qualcuno stia facendo caso a me.

A parte i viali principali, le piccole strade che si snodano lungo tutto Prospect Park sono coperte di neve ghiacciata. Nelle aree più interne di questo immenso bosco non c'è anima viva e Brooklyn sembra scomparsa. Cammino lentamente, mi fido davvero poco della suola dei miei anfibi, è ancora meno della mia attenzione. Quando non ho lo sguardo perso da qualche parte, fisso il mio telefono per cercare la colonna sonora adatta all'umore del momento. Una benedizione che poi sia Rdio a scegliere per me. 

Ho ancora la tentazione di scattare fotografie con il telefono, soprattutto quando vedo qualcuno seduto sulla neve accanto ad un albero o i ragazzini pattinare sulla pista coperta solo da un cielo stellato finto. La tentazione è ancora più forte quando vedo spuntare gli abiti nerissimi di due ebrei ortodossi dall'orizzonte completamente bianco. 

Ma la vita a New York mi sta insegnando una cosa. Farsi i cazzi propri non è bello solo per gli altri, ma soprattutto per se stessi. 
Sento che almeno questo traguardo è vicino.

20 gennaio 2015

Isolamento [ NYC #43 ]

A noi due, pioggia!


La miglior giacca impermeabile davvero a prova d'acqua? L'ombrello. Le ho provate tutte e, al momento, è l'unica che mi manca. Ho deciso di disfarmi dell'ombrello quando ho capito quanto fosse scomodo in metropolitana, soprattutto nelle ore di punta o quando hai le mani occupate da pacchi o sacchetti o quando non puoi spingere il passeggino di tuo figlio giù per le scale perché questa non è la Corazzata Potemekin. 

Mi sono fidato ciecamente, invece, delle recensioni a quella che credo sia la giacca impermeabile più grezza d'America. Recensioni scritte da gente che per lavoro passa tempo nei boschi o nei cantieri. Perché la Carhartt, che questa giacca è orgogliosa di produrre, in Europa era un marchio da felpe per raduni rave addomesticati, almeno sino a qualche anno fa; mentre quaggiù è molto più un sinonimo di abbigliamento per chi lavora duro. Alcuni dei loro bermuda imperforabili, per esempio, sono a prova di corno di rinoceronte e d'estate impediscono che la temperatura del tuo inguine possa superare i cinquanta gradi centigradi. Poi dice che è il cellulare in tasca a uccidere la fertilità maschile. Ho acquistato quei bermuda come alternativa alla pianificazione familiare. E tanto mi sono trovato bene che ho deciso di comprarmi pure la giacca impermeabile. Plastica pura, cuciture invisibili, peso pari a mezza dozzina di mattoni e non di quelli traforati. Mi chiedo se avrò il coraggio di metterla durante le prime piogge primaverili, quando potrei essere tentato di preferirle quella più leggera e traspirante della Brooklyn Industries, che dalle nostre parti è marchio di tendenza assoluta e ora si vende pure a Manhattan: perché sulla loro isoletta, loro, c'avranno pure i soldi e i grattacieli, ma quelli di tendenza, adesso, vivono dall'altra parte del Ponte, e si sa dappertutto nel Mondo (ma non in Italia, a quanto pare). Giacca impermeabile talmente leggera e talmente traspirante, quella di Brooklyn Industries, che ti evita l'inutile perdita di tempo della doccia prima d'uscire di casa. Sufficiente aspettare il primo temporale, indossarla, ed è fatta. Tendenza assoluta. 

19 gennaio 2015

Un giorno come un altro, senza Martin Luther King [ NYC # 42 ]


Almeno, oggi, non nevica e non fa un freddo insopportabile. E nemmeno diluvia, come ieri tutta la giornata. Un uomo regge un cartello che dice: "Autolavaggio Aperto". Sul marciapiede opposto, giusto poco prima dello svincolo che porta alla Prospect Expressway, altri due uomini reggono cartelli con scritto "SCIOPERO". Faccio una deviazione al semaforo sulla 19th Street, attraverso l'incrocio e mi avvicino a loro per salutarli. 

Li vedo scioperare, sempre con un piccolo numero di altri compagni, da tutto dicembre, quando siamo venuti a vivere qui, nel quartiere di Greenwood Heights. Da qualche giorno non vedo più, invece, l'enorme topo grigio gonfiabile che era ancorato davanti all'autolavaggio, uno di quelli che negli USA vengono chiamati "union rats" e che i lavoratori usano per attirare l'attenzione dei passanti sulle ragioni della loro protesta. 

I due uomini con cui mi fermo a parlare sono latinoamericani. Con i loro cartelli sono appoggiati ad alcune transenne della polizia, chissà quando abbandonate lì dagli agenti. Uno dei due mi racconta che il loro sciopero va ormai avanti dalla settimana di Thanksgiving, a fine novembre. Insieme ad altri dipendenti hanno fatto causa al proprietario dell'autolavaggio perché li pagava molto meno della già bassa paga minima oraria legale, spesso anche solo quattro dollari e cinquanta centesimi all'ora, e non pagava loro gli straordinari. Con stipendi così scarsi, a volte anche se qualcun altro in famiglia lavora, è difficile fare una vita onesta e dignitosa a New York. Non so se la mia solidarietà possa servire un po' di più dei pochissimi dollari che ho nel portafoglio e che decido di lasciare a sostegno della causa che questi uomini hanno iniziato. 

Dall'altro lato della strada uno dei compagni che oggi protesta con loro mi fa un cenno di ringraziamento. Al suo fianco un ragazzo sorregge un cartello che manifesta l'appoggio della Park Slope Community. Vedo che non troppo distante dagli scioperanti c'e' anche un secondo uomo con il cartello "Autolavaggio Aperto". Non so se i due uomini che promettono macchine pulite agli automobilisti diretti in autostrada  siano dipendenti pure loro o se siano pagati solo per fare pubblicità lungo la strada, dove a me sembra che non si fermi più nessuno da settimane, a parte i tassisti messicani che velocemente salutano gli amici in sciopero. Comunque sia, davvero improbabile che anche questi due poveri disgraziati possano essere pagati più di una miseria per reggere un semplice cartello. Entrambi i crumiri sono afroamericani.

Un giorno come un altro, il Martin Luther King Day.

01 gennaio 2015

ITALIANO VACANTE

Natale a Torino

Ah, già, la cacca dei cani. Non ricordo bene nel resto d'Italia, ma so per certo che a Torino non si usa raccoglierla. A San Salvario, per esempio, già a partire dai primi anni 2000 c'era questa usanza di lasciarla lungo i marciapiedi, così da consentire di pestarla a mo' d'auspicio. Per cui, quando adesso la pesto davanti a casa di mia madre, mi sento totalmente a mio agio. Solo che non vorrei portarla su a casa sua, ché lei è assai meno a proprio agio con la cacca dei cani. Così me la levo dalla scarpa con l'ultimo fazzoletto rimasto. Devo decidere se cercare un cestino o buttare il fazzoletto sporco di cacca sul marciapiede. Penso che lasciarlo sul marciapiede sia un segnale di apprezzamento che il padrone del cane capirà. Invece il fazzoletto mi scivola sulla strada, mer...
Mia madre, come credo altre madri, non ama molto la cacca dei cani, soprattutto quando provi a spalmarla dalla tua scarpa al tappeto dell'ingresso di casa sua. Credo che mia madre non ami l'arte, a dire il vero. Quando ha parcheggiato l'auto sotto casa, qualche giorno fa, un tizio ha deciso di usare la sua carrozzeria per un disegno lungo entrambe le fiancate, senza soluzione di continuità. A lei il disegno non è piaciuto. E a giudicare dalle maledizioni che gli ha lanciato, fossi in lui io non sottovaluterei quelle che lui crede siano solo delle fastidiose emorroidi.
L'apprezzamento per l'arte sulle automobili è così soggettivo che io ho deciso di disfarmi della mia vecchia Punto a metano. Dopo due anni a New York, e senza una macchina, mi sembrava il minimo non possedere più un'auto in Italia. Ho pensato che con ben due settimane di vacanza a Torino, sotto Natale, la cosa più semplice sarebbe stata fare una bella voltura e lasciare la macchina a qualcuno della mia famiglia. Ho pensato.